L. 8 marzo 2000, n. 53

Legge Nazionale

Disposizioni per il sostegno della maternita’ e della paternita’, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle citta’.

L. 8 marzo 2000, n. 53

Disposizioni per il sostegno della maternita’ e della paternita’, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle citta’. (G.U. n. 60 del 13-03-2000)

Capo I
PRINCIPI GENERALI
Art. 1. (Finalita’).
1. La presente legge promuove un equilibrio tra tempi di lavoro, di cura, di formazione e di relazione, mediante:
a) l’istituzione dei congedi dei genitori e l’estensione del sostegno ai genitori di soggetti portatori di handicap;
b) l’istituzione del congedo per la formazione continua e l’estensione dei congedi per la formazione;
c) il coordinamento dei tempi di funzionamento delle citta’ e la promozione dell’uso del tempo per fini di solidarieta’ sociale.

Art. 2. (Campagne informative).
1. Al fine di diffondere la conoscenza delle disposizioni della presente legge, il Ministro per la solidarieta’ sociale e’ autorizzato a predisporre, di concerto con il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, apposite campagne informative, nei limiti degli ordinari stanziamenti di bilancio destinati allo scopo.
Capo II
CONGEDI PARENTALI, FAMILIARI E FORMATIVI
Art. 3. (Congedi dei genitori).
1. All’articolo 1 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, dopo il terzo comma e’ inserito il seguente: “Il diritto di astenersi dal
lavoro di cui all’articolo 7, ed il relativo trattamento economico, sono riconosciuti anche se l’altro genitore non ne ha diritto. Le
disposizioni di cui al comma 1 dell’articolo 7 e al comma 2 dell’articolo 15 sono estese alle lavoratrici di cui alla legge 29
dicembre 1987, n. 546, madri di bambini nati a decorrere dal 1o gennaio 2000. Alle predette lavoratrici i diritti previsti dal comma 1 dell’articolo 7 e dal comma 2 dell’articolo 15 spettano limitatamente ad un periodo di tre mesi, entro il primo anno di vita del bambino”.
2. L’articolo 7 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, e’ sostituito dal seguente:
Art. 7. – 1. Nei primi otto anni di vita del bambino ciascun genitore ha diritto di astenersi dal lavoro secondo le modalita’ stabilite dal presente articolo. Le astensioni dal lavoro dei genitori non possono complessivamente eccedere il limite di dieci mesi, fatto salvo il disposto del comma 2 del presente articolo. Nell’ambito del predetto limite, il diritto di astenersi dal lavoro compete:
a) alla madre lavoratrice, trascorso il periodo di astensione obbligatoria di cui all’articolo 4, primo comma, lettera c), della
presente legge, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a sei mesi;
b) al padre lavoratore, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a sei mesi;
c) qualora vi sia un solo genitore, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a dieci mesi.
2. Qualora il padre lavoratore eserciti il diritto di astenersi dal lavoro per un periodo non inferiore a tre mesi, il limite di cui alla
lettera b) del comma 1 e’ elevato a sette mesi e il limite complessivo delle astensioni dal lavoro dei genitori di cui al
medesimo comma e’ conseguentemente elevato a undici mesi.
3. Ai fini dell’esercizio del diritto di cui al comma 1, il genitore e’ tenuto, salvo casi di oggettiva impossibilita’, a preavvisare il
datore di lavoro secondo le modalita’ e i criteri definiti dai contratti collettivi, e comunque con un periodo di preavviso non
inferiore a quindici giorni.
4. Entrambi i genitori, alternativamente, hanno diritto, altresi’, di astenersi dal lavoro durante le malattie del bambino di eta’
inferiore a otto anni ovvero di eta’ compresa fra tre e otto anni, in quest’ultimo caso nel limite di cinque giorni lavorativi all’anno per ciascun genitore, dietro presentazione di certificato rilasciato da un medico specialista del Servizio sanitario nazionale o con esso convenzionato. La malattia del bambino che dia luogo a ricovero ospedaliero interrompe il decorso del periodo di ferie in godimento da parte del genitore.
5. I periodi di astensione dal lavoro di cui ai commi 1 e 4 sono computati nell’anzianita’ di servizio, esclusi gli effetti relativi
alle ferie e alla tredicesima mensilita’ o alla gratifica natalizia. Ai fini della fruizione del congedo di cui al comma 4, la lavoratrice
ed il lavoratore sono tenuti a presentare una dichiarazione rilasciata ai sensi dell’articolo 4 della legge 4 gennaio 1968, n. 15, attestante che l’altro genitore non sia in astensione dal lavoro negli stessi giorni per il medesimo motivo”.
3. All’articolo 10 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, sono aggiunti, in fine, i seguenti commi: “Ai periodi di riposo di cui al
presente articolo si applicano le disposizioni in materia di contribuzione figurativa, nonche’ di riscatto ovvero di versamento dei relativi contributi previsti dal comma 2, lettera b), dell’articolo 15. In caso di parto plurimo, i periodi di riposo sono raddoppiati e le ore aggiuntive rispetto a quelle previste dal primo comma del presente articolo possono essere utilizzate anche dal padre”.
4. L’articolo 15 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, e’ sostituito dal seguente:
“Art. 15. – 1. Le lavoratrici hanno diritto ad un’indennita’ giornaliera pari all’80 per cento della retribuzione per tutto il periodo di astensione obbligatoria dal lavoro stabilita dagli articoli 4 e 5 della presente legge. Tale indennita’ e’ comprensiva di ogni altra indennita’ spettante per malattia.
2. Per i periodi di astensione facoltativa di cui all’articolo 7, comma 1, ai lavoratori e alle lavoratrici e’ dovuta:
a) fino al terzo anno di vita del bambino, un’indennita’ pari al 30 per cento della retribuzione, per un periodo massimo complessivo tra i genitori di sei mesi; il relativo periodo, entro il limite predetto, e’ coperto da contribuzione figurativa;
b) fuori dei casi di cui alla lettera a), fino al compimento dell’ottavo anno di vita del bambino, e comunque per il restante
periodo di astensione facoltativa, un’indennita’ pari al 30 per cento della retribuzione, nell’ipotesi in cui il reddito individuale
dell’interessato sia inferiore a 2,5 volte l’importo del trattamento minimo di pensione a carico dell’assicurazione generale obbligatoria;
il periodo medesimo e’ coperto da contribuzione figurativa, attribuendo come valore retributivo per tale periodo il 200 per cento del valore massimo dell’assegno sociale, proporzionato ai periodi di riferimento, salva la facolta’ di integrazione da parte
dell’interessato, con riscatto ai sensi dell’articolo 13 della legge 12 agosto 1962, n. 1338, ovvero con versamento dei relativi
contributi secondo i criteri e le modalita’ della prosecuzione volontaria.
3. Per i periodi di astensione per malattia del bambino di cui all’articolo 7, comma 4, e’ dovuta:
a) fino al compimento del terzo anno di vita del bambino, la contribuzione figurativa;
b) successivamente al terzo anno di vita del bambino e fino al compimento dell’ottavo anno, la copertura contributiva calcolata con le modalita’ previste dal comma 2, lettera b).
4. Il reddito individuale di cui al comma 2, lettera b), e’ determinato secondo i criteri previsti in materia di limiti reddituali per l’integrazione al minimo.
5. Le indennita’ di cui al presente articolo sono corrisposte con gli stessi criteri previsti per l’erogazione delle prestazioni
dell’assicurazione obbligatoria contro le malattie dall’ente assicuratore della malattia presso il quale la lavoratrice o il
lavoratore e’ assicurato e non sono subordinate a particolari requisiti contributivi o di anzianita’ assicurativa”.
5. Le disposizioni del presente articolo trovano applicazione anche nei confronti dei genitori adottivi o affidatari. Qualora, all’atto dell’adozione o dell’affidamento, il minore abbia un’eta’ compresa fra sei e dodici anni, il diritto di astenersi dal lavoro, ai sensi dei commi 1 e 2 del presente articolo, puo’ essere esercitato nei primi tre anni dall’ingresso del minore nel nucleo familiare. Nei confronti delle lavoratrici a domicilio e delle addette ai servizi domestici e familiari, le disposizioni dell’articolo 15 della legge
30 dicembre 1971, n. 1204, come sostituito dal comma 4 del presente articolo, si applicano limitatamente al comma 1.

Art. 4. (Congedi per eventi e cause particolari).
1. La lavoratrice e il lavoratore hanno diritto ad un permesso retribuito di tre giorni lavorativi all’anno in caso di decesso o di
documentata grave infermita’ del coniuge o di un parente entro il secondo grado o del convivente, purche’ la stabile convivenza con il lavoratore o la lavoratrice risulti da certificazione anagrafica. In alternativa, nei casi di documentata grave infermita’, il lavoratore e la lavoratrice possono concordare con il datore di lavoro diverse modalita’ di espletamento dell’attivita’ lavorativa.
2. I dipendenti di datori di lavoro pubblici o privati possono richiedere, per gravi e documentati motivi familiari, fra i quali le
patologie individuate ai sensi del comma 4, un periodo di congedo, continuativo o frazionato, non superiore a due anni. Durante tale periodo il dipendente conserva il posto di lavoro, non ha diritto alla retribuzione e non puo’ svolgere alcun tipo di attivita’
lavorativa. Il congedo non e’ computato nell’anzianita’ di servizio ne’ ai fini previdenziali; il lavoratore puo’ procedere al riscatto,
ovvero al versamento dei relativi contributi, calcolati secondo i criteri della prosecuzione volontaria.
3. I contratti collettivi disciplinano le modalita’ di partecipazione agli eventuali corsi di formazione del personale che riprende
l’attivita’ lavorativa dopo la sospensione di cui al comma 2.
4. Entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Ministro per la solidarieta’ sociale, con proprio
decreto, di concerto con i Ministri della sanita’, del lavoro e della previdenza sociale e per le pari opportunita’, provvede alla
definizione dei criteri per la fruizione dei congedi di cui al presente articolo, all’individuazione delle patologie specifiche ai
sensi del comma 2, nonche’ alla individuazione dei criteri per la verifica periodica relativa alla sussistenza delle condizioni di
grave infermita’ dei soggetti di cui al comma 1.
Art. 5. (Congedi per la formazione).
1. Ferme restando le vigenti disposizioni relative al diritto allo studio di cui all’articolo 10 della legge 20 maggio 1970, n. 300, i
dipendenti di datori di lavoro pubblici o privati, che abbiano almeno cinque anni di anzianita’ di servizio presso la stessa azienda o amministrazione, possono richiedere una sospensione del rapporto di lavoro per congedi per la formazione per un periodo non superiore ad undici mesi, continuativo o frazionato, nell’arco dell’intera vita lavorativa.
2. Per “congedo per la formazione” si intende quello finalizzato al completamento della scuola dell’obbligo, al conseguimento del titolo di studio di secondo grado, del diploma universitario o di laurea, alla partecipazione ad attivita’ formative diverse da quelle poste in essere o finanziate dal datore di lavoro.
3. Durante il periodo di congedo per la formazione il dipendente conserva il posto di lavoro e non ha diritto alla retribuzione. Tale periodo non e’ computabile nell’anzianita’ di servizio e non e’ cumulabile con le ferie, con la malattia e con altri congedi. Una grave e documentata infermita’, individuata sulla base dei criteri stabiliti dal medesimo decreto di cui all’articolo 4, comma 4, intervenuta durante il periodo di congedo, di cui sia data comunicazione scritta al datore di lavoro, da’ luogo ad interruzione
del congedo medesimo.
4. Il datore di lavoro puo’ non accogliere la richiesta di congedo per la formazione ovvero puo’ differirne l’accoglimento nel caso di comprovate esigenze organizzative. I contratti collettivi prevedono le modalita’ di fruizione del congedo stesso, individuano le percentuali massime dei lavoratori che possono avvalersene, disciplinano le ipotesi di differimento o di diniego all’esercizio di tale facolta’ e fissano i termini del preavviso, che comunque non puo’ essere inferiore a trenta giorni.
5. Il lavoratore puo’ procedere al riscatto del periodo di cui al presente articolo, ovvero al versamento dei relativi contributi,
calcolati secondo i criteri della prosecuzione volontaria.
Art. 6. (Congedi per la formazione continua).
1. I lavoratori, occupati e non occupati, hanno diritto di proseguire i percorsi di formazione per tutto l’arco della vita, per accrescere conoscenze e competenze professionali. Lo Stato, le regioni e gli enti locali assicurano un’offerta formativa articolata sul territorio e, ove necessario, integrata, accreditata secondo le disposizioni dell’articolo 17 della legge 24 giugno 1997, n. 196, e successive modificazioni, e del relativo regolamento di attuazione. L’offerta formativa deve consentire percorsi personalizzati, certificati e riconosciuti come crediti formativi in ambito nazionale ed europeo. La formazione puo’ corrispondere ad autonoma scelta del lavoratore ovvero essere predisposta dall’azienda, attraverso i piani formativi aziendali o territoriali concordati tra le parti sociali in coerenza con quanto previsto dal citato articolo 17 della legge n. 196 del 1997, e successive modificazioni.
2. La contrattazione collettiva di categoria, nazionale e decentrata, definisce il monte ore da destinare ai congedi di cui al presente articolo, i criteri per l’individuazione dei lavoratori e le modalita’ di orario e retribuzione connesse alla partecipazione ai
percorsi di formazione.
3. Gli interventi formativi che rientrano nei piani aziendali o territoriali di cui al comma 1 possono essere finanziati attraverso
il fondo interprofessionale per la formazione continua, di cui al regolamento di attuazione del citato articolo 17 della legge n. 196 del 1997.
4. Le regioni possono finanziare progetti di formazione dei lavoratori che, sulla base di accordi contrattuali, prevedano quote
di riduzione dell’orario di lavoro, nonche’ progetti di formazione presentati direttamente dai lavoratori. Per le finalita’ del presente comma e’ riservata una quota, pari a lire 30 miliardi annue, del Fondo per l’occupazione di cui all’articolo 1, comma 7, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236. Il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, provvede annualmente, con proprio decreto, a ripartire fra le regioni la predetta quota, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.
Art. 7. (Anticipazione del trattamento di fine rapporto).
1. Oltre che nelle ipotesi di cui all’articolo 2120, ottavo comma, del codice civile, il trattamento di fine rapporto puo’ essere
anticipato ai fini delle spese da sostenere durante i periodi di fruizione dei congedi di cui all’articolo 7, comma 1, della legge 30
dicembre 1971, n. 1204, come sostituito dall’articolo 3, comma 2, della presente legge, e di cui agli articoli 5 e 6 della presente
legge. L’anticipazione e’ corrisposta unitamente alla retribuzione relativa al mese che precede la data di inizio del congedo. Le
medesime disposizioni si applicano anche alle domande di anticipazioni per indennita’ equipollenti al trattamento di fine
rapporto, comunque denominate, spettanti a lavoratori dipendenti di datori di lavoro pubblici e privati.
2. Gli statuti delle forme pensionistiche complementari di cui al decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124, e successive
modificazioni, possono prevedere la possibilita’ di conseguire, ai sensi dell’articolo 7, comma 4, del citato decreto legislativo n. 124 del 1993, un’anticipazione delle prestazioni per le spese da sostenere durante i periodi di fruizione dei congedi di cui agli
articoli 5 e 6 della presente legge.
3. Con decreto del Ministro per la funzione pubblica, di concerto con i Ministri del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, del lavoro e della previdenza sociale e per la solidarieta’ sociale, sono definite le modalita’ applicative delle disposizioni del comma 1 in riferimento ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni.

Art. 8. (Prolungamento dell’eta’ pensionabile).
1. I soggetti che usufruiscono dei congedi previsti dall’articolo 5, comma 1, possono, a richiesta, prolungare il rapporto di lavoro di un periodo corrispondente, anche in deroga alle disposizioni concernenti l’eta’ di pensionamento obbligatoria. La richiesta deve essere comunicata al datore di lavoro con un preavviso non inferiore a sei mesi rispetto alla data prevista per il pensionamento.
Capo III FLESSIBILITA’ DI ORARIO
Art. 9. (Misure a sostegno della flessibilita’ di orario).
1. Al fine di promuovere e incentivare forme di articolazione della prestazione lavorativa volte a conciliare tempo di vita e di lavoro, nell’ambito del Fondo per l’occupazione di cui all’articolo 1, comma 7, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236, e’ destinata una quota fino a lire 40 miliardi annue a decorrere dall’anno 2000, al fine di erogare contributi, di cui almeno il 50 per cento destinato ad imprese fino a cinquanta dipendenti, in favore di aziende che applichino accordi contrattuali che prevedono azioni positive per la flessibilita’, ed in particolare:
a) progetti articolati per consentire alla lavoratrice madre o al lavoratore padre, anche quando uno dei due sia lavoratore autonomo, ovvero quando abbiano in affidamento o in adozione un minore, di usufruire di particolari forme di flessibilita’ degli orari e dell’organizzazione del lavoro, tra cui part time reversibile, telelavoro e lavoro a domicilio, orario flessibile in entrata o in
uscita, banca delle ore, flessibilita’ sui turni, orario concentrato, con priorita’ per i genitori che abbiano bambini fino ad otto anni di eta’ o fino a dodici anni, in caso di affidamento o di adozione;
b) programmi di formazione per il reinserimento dei lavoratori dopo il periodo di congedo;
c) progetti che consentano la sostituzione del titolare di impresa o del lavoratore autonomo, che benefici del periodo di astensione obbligatoria o dei congedi parentali, con altro imprenditore o lavoratore autonomo. 2. Con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con i Ministri per la solidarieta’ sociale e per le pari opportunita’, sono definiti i criteri e le modalita’ per la concessione dei contributi di cui al comma 1.
Capo IV ULTERIORI DISPOSIZIONI A SOSTEGNO DELLA MATERNITA’ E DELLA PATERNITA’
Art. 10. (Sostituzione di lavoratori in astensione).
1. L’assunzione di lavoratori a tempo determinato in sostituzione di lavoratori in astensione obbligatoria o facoltativa dal lavoro ai sensi della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, come modificata dalla presente legge, puo’ avvenire anche con anticipo fino ad un mese rispetto al periodo di inizio dell’astensione, salvo periodi superiori previsti dalla contrattazione collettiva.
2. Nelle aziende con meno di venti dipendenti, per i contributi a carico del datore di lavoro che assume lavoratori con contratto a tempo determinato in sostituzione di lavoratori in astensione ai sensi degli articoli 4, 5 e 7 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, come modificati dalla presente legge, e’ concesso uno sgravio contributivo del 50 per cento. Le disposizioni del presente comma trovano applicazione fino al compimento di un anno di eta’ del figlio della lavoratrice o del lavoratore in astensione e per un anno dall’accoglienza del minore adottato o in affidamento.
3. Nelle aziende in cui operano lavoratrici autonome di cui alla legge 29 dicembre 1987, n. 546, e’ possibile procedere, in caso di maternita’ delle suddette lavoratrici, e comunque entro il primo anno di eta’ del bambino o nel primo anno di accoglienza del minore adottato o in affidamento, all’assunzione di un lavoratore a tempo determinato, per un periodo massimo di dodici mesi, con le medesime agevolazioni di cui al comma 2.
Art. 11. (Parti prematuri).
1. All’articolo 4 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, sono aggiunti, in fine, i seguenti commi:
“Qualora il parto avvenga in data anticipata rispetto a quella presunta, i giorni non goduti di astensione obbligatoria prima del
parto vengono aggiunti al periodo di astensione obbligatoria dopo il parto. La lavoratrice e’ tenuta a presentare, entro trenta giorni, il certificato attestante la data del parto”.
Art. 12. (Flessibilita’ dell’astensione obbligatoria).
1. Dopo l’articolo 4 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, e’ inserito il seguente:
“Art. 4-bis. – 1. Ferma restando la durata complessiva dell’astensione dal lavoro, le lavoratrici hanno la facolta’ di astenersi dal lavoro a partire dal mese precedente la data presunta del parto e nei quattro mesi successivi al parto, a condizione che il medico specialista del Servizio sanitario nazionale o con esso convenzionato e il medico competente ai fini della prevenzione e
tutela della salute nei luoghi di lavoro attestino che tale opzione non arrechi pregiudizio alla salute della gestante e del nascituro”.
2. Il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con i Ministri della sanita’ e per la solidarieta’ sociale, sentite le
parti sociali, definisce, con proprio decreto da emanare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, l’elenco dei lavori ai quali non si applicano le disposizioni dell’articolo 4-bis della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, introdotto dal comma 1 del presente articolo.
3. Il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con i Ministri della sanita’ e per la solidarieta’ sociale, provvede,
entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, ad aggiornare l’elenco dei lavori pericolosi, faticosi ed insalubri
di cui all’articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica 25 novembre 1976, n. 1026.
Art. 13. (Astensione dal lavoro del padre lavoratore).
1. Dopo l’articolo 6 della legge 9 dicembre 1977, n. 903, sono inseriti i seguenti:
“Art. 6-bis. – 1. Il padre lavoratore ha diritto di astenersi dal lavoro nei primi tre mesi dalla nascita del figlio, in caso di morte
o di grave infermita’ della madre ovvero di abbandono, nonche’ in caso di affidamento esclusivo del bambino al padre.
2. Il padre lavoratore che intenda avvalersi del diritto di cui al comma 1 presenta al datore di lavoro la certificazione relativa alle
condizioni ivi previste. In caso di abbandono, il padre lavoratore ne rende dichiarazione ai sensi dell’articolo 4 della legge 4 gennaio 1968, n. 15.
3. Si applicano al padre lavoratore le disposizioni di cui agli articoli 6 e 15, commi 1 e 5, della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, e successive modificazioni.
4. Al padre lavoratore si applicano altresi’ le disposizioni di cui all’articolo 2 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, e successive modificazioni, per il periodo di astensione dal lavoro di cui al comma 1 del presente articolo e fino al compimento di un anno di eta’ del bambino.
Art. 6-ter. – 1. I periodi di riposo di cui all’articolo 10 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, e successive modificazioni, e i
relativi trattamenti economici sono riconosciuti al padre lavoratore:
a) nel caso in cui i figli siano affidati al solo padre;
b) in alternativa alla madre lavoratrice dipendente che non se ne avvalga;
c) nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente”.
Art. 14. (Estensione di norme a specifiche categorie di lavoratrici madri).
1. I benefici previsti dal primo periodo del comma 1 dell’articolo 13 della legge 7 agosto 1990, n. 232, sono estesi, dalla data di entrata in vigore della presente legge, anche alle lavoratrici madri appartenenti ai corpi di polizia municipale.
Art. 15. (Testo unico).
1. Al fine di conferire organicita’ e sistematicita’ alle norme in materia di tutela e sostegno della maternita’ e della paternita’,
entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Governo e’ delegato ad emanare un decreto legislativo
recante il testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia, nel rispetto dei seguenti princi’pi e criteri direttivi:
a) puntuale individuazione del testo vigente delle norme;
b) esplicita indicazione delle norme abrogate, anche implicitamente, da successive disposizioni;
c) coordinamento formale del testo delle disposizioni vigenti, apportando, nei limiti di detto coordinamento, le modifiche
necessarie per garantire la coerenza logica e sistematica della normativa, anche al fine di adeguare e semplificare il linguaggio
normativo;
d) esplicita indicazione delle disposizioni, non inserite nel testo unico, che restano comunque in vigore;
e) esplicita abrogazione di tutte le rimanenti disposizioni, non richiamate, con espressa indicazione delle stesse in apposito
allegato al testo unico;
f) esplicita abrogazione delle norme secondarie incompatibili con le disposizioni legislative raccolte nel testo unico.
2. Lo schema del decreto legislativo di cui al comma 1 e’ deliberato dal Consiglio dei ministri ed e’ trasmesso, con apposita relazione cui e’ allegato il parere del Consiglio di Stato, alle competenti Commissioni parlamentari permanenti, che esprimono il parere entro quarantacinque giorni dall’assegnazione.
3. Entro un anno dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo di cui al comma 1 possono essere emanate, nel rispetto
dei princi’pi e criteri direttivi di cui al medesimo comma 1 e con le modalita’ di cui al comma 2, disposizioni correttive del testo unico.
Art. 16. (Statistiche ufficiali sui tempi di vita).
1. L’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) assicura un flusso informativo quinquennale sull’organizzazione dei tempi di vita della
popolazione attraverso la rilevazione sull’uso del tempo, disaggregando le informazioni per sesso e per eta’.
Art. 17. (Disposizioni diverse).
1. Nei casi di astensione dal lavoro disciplinati dalla presente legge, la lavoratrice e il lavoratore hanno diritto alla conservazione del posto di lavoro e, salvo che espressamente vi rinuncino, al rientro nella stessa unita’ produttiva ove erano occupati al momento della richiesta di astensione o di congedo o in altra ubicata nel medesimo comune; hanno altresi’ diritto di essere
adibiti alle mansioni da ultimo svolte o a mansioni equivalenti.
2. All’articolo 2 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, e’ aggiunto, in fine, il seguente comma:
“Al termine del periodo di interdizione dal lavoro previsto dall’articolo 4 della presente legge le lavoratrici hanno diritto, salvo che espressamente vi rinuncino, di rientrare nella stessa unita’ produttiva ove erano occupate all’inizio del periodo di gestazione o in altra ubicata nel medesimo comune, e di permanervi fino al compimento di un anno di eta’ del bambino; hanno altresi’
diritto di essere adibite alle mansioni da ultimo svolte o a mansioni equivalenti”.
3. I contratti collettivi di lavoro possono prevedere condizioni di maggior favore rispetto a quelle previste dalla presente legge.
4. Sono abrogate le disposizioni legislative incompatibili con la presente legge ed in particolare l’articolo 7 della legge 9 dicembre 1977, n. 903.
Art. 18. (Disposizioni in materia di recesso).
1. Il licenziamento causato dalla domanda o dalla fruizione del congedo di cui agli articoli 3, 4, 5, 6 e 13 della presente legge e’
nullo.
2. La richiesta di dimissioni presentata dalla lavoratrice o dal lavoratore durante il primo anno di vita del bambino o nel primo anno di accoglienza del minore adottato o in affidamento deve essere convalidata dal Servizio ispezione della direzione provinciale del lavoro.
Capo V MODIFICHE ALLA LEGGE 5 FEBBRAIO 1992, N. 104
Art. 19. (Permessi per l’assistenza a portatori di handicap).
1. All’articolo 33 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 3, dopo le parole: “permesso mensile” sono inserite le seguenti: “coperti da contribuzione figurativa”;
b) al comma 5, le parole: “, con lui convivente,” sono soppresse;
c) al comma 6, dopo le parole: “puo’ usufruire” e’ inserita la seguente: “alternativamente”.
Art. 20. (Estensione delle agevolazioni per l’assistenza a portatori di handicap).
1. Le disposizioni dell’articolo 33 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, come modificato dall’articolo 19 della presente legge, si
applicano anche qualora l’altro genitore non ne abbia diritto nonche’ ai genitori ed ai familiari lavoratori, con rapporto di lavoro
pubblico o privato, che assistono con continuita’ e in via esclusiva un parente o un affine entro il terzo grado portatore di handicap, ancorche’ non convivente.
Capo VI NORME FINANZIARIE
Art. 21. (Copertura finanziaria).
1. All’onere derivante dall’attuazione delle disposizioni degli articoli da 3 a 20, esclusi gli articoli 6 e 9, della presente legge,
valutato in lire 298 miliardi annue a decorrere dall’anno 2000, si provvede, quanto a lire 273 miliardi annue a decorrere dall’anno 2000, mediante corrispondente riduzione dell’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 3 del decreto-legge 20 gennaio 1998, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 marzo 1998, n. 52, concernente il Fondo per l’occupazione; quanto a lire 25 miliardi annue a decorrere dall’anno 2000, mediante corrispondente riduzione dell’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 1 della legge 28 agosto 1997, n. 285.
2. Il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica e’ autorizzato ad apportare, con propri decreti, le
occorrenti variazioni di bilancio.
Capo VII TEMPI DELLE CITTA’
Art. 22. (Compiti delle regioni).
1. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge le regioni definiscono, con proprie leggi, ai sensi
dell’articolo 36, comma 3, della legge 8 giugno 1990, n. 142, e successive modificazioni, qualora non vi abbiano gia’ provveduto, norme per il coordinamento da parte dei comuni degli orari degli esercizi commerciali, dei servizi pubblici e degli uffici periferici delle amministrazioni pubbliche, nonche’ per la promozione dell’uso del tempo per fini di solidarieta’ sociale, secondo i principi del presente capo.
2. Le regioni prevedono incentivi finanziari per i comuni, anche attraverso l’utilizzo delle risorse del Fondo di cui all’articolo 28,
ai fini della predisposizione e dell’attuazione dei piani territoriali degli orari di cui all’articolo 24 e della costituzione delle banche dei tempi di cui all’articolo 27.
3. Le regioni possono istituire comitati tecnici, composti da esperti in materia di progettazione urbana, di analisi sociale, di
comunicazione sociale e di gestione organizzativa, con compiti consultivi in ordine al coordinamento degli orari delle citta’ e per
la valutazione degli effetti sulle comunita’ locali dei piani territoriali degli orari.
4. Nell’ambito delle proprie competenze in materia di formazione professionale, le regioni promuovono corsi di qualificazione e
riqualificazione del personale impiegato nella progettazione dei piani territoriali degli orari e nei progetti di riorganizzazione dei
servizi.
5. Le leggi regionali di cui al comma 1 indicano:
a) criteri generali di amministrazione e coordinamento degli orari di apertura al pubblico dei servizi pubblici e privati, degli uffici
della pubblica amministrazione, dei pubblici esercizi commerciali e turistici, delle attivita’ culturali e dello spettacolo, dei
trasporti;
b) i criteri per l’adozione dei piani territoriali degli orari;
c) criteri e modalita’ per la concessione ai comuni di finanziamenti per l’adozione dei piani territoriali degli orari e per la
costituzione di banche dei tempi, con priorita’ per le iniziative congiunte dei comuni con popolazione non superiore a 30.000 abitanti.
6. Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano provvedono secondo le rispettive competenze.

Art. 23. (Compiti dei comuni).
1. I comuni con popolazione superiore a 30.000 abitanti attuano, singolarmente o in forma associata, le disposizioni dell’articolo 36, comma 3, della legge 8 giugno 1990, n. 142, e successive modificazioni, secondo le modalita’ stabilite dal presente capo, nei tempi indicati dalle leggi regionali di cui all’articolo 22, comma 1, e comunque non oltre un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge.
2. In caso di inadempimento dell’obbligo di cui al comma 1, il presidente della giunta regionale nomina un commissario ad acta.
3. I comuni con popolazione non superiore a 30.000 abitanti possono attuare le disposizioni del presente capo in forma associata.
Art. 24. (Piano territoriale degli orari).
1. Il piano territoriale degli orari, di seguito denominato “piano”, realizza le finalita’ di cui all’articolo 1, comma 1, lettera c), ed
e’ strumento unitario per finalita’ ed indirizzi, articolato in progetti, anche sperimentali, relativi al funzionamento dei diversi sistemi orari dei servizi urbani e alla loro graduale armonizzazione e coordinamento.
2. I comuni con popolazione superiore a 30.000 abitanti sono tenuti ad individuare un responsabile cui e’ assegnata la competenza in materia di tempi ed orari e che partecipa alla conferenza dei dirigenti, ai sensi della legge 8 giugno 1990, n. 142, e successive modificazioni.
3. I comuni con popolazione non superiore a 30.000 abitanti possono istituire l’ufficio di cui al comma 2 in forma associata.
4. Il sindaco elabora le linee guida del piano. A tale fine attua forme di consultazione con le amministrazioni pubbliche, le parti
sociali, nonche’ le associazioni previste dall’articolo 6 della legge 8 giugno 1990, n. 142, e successive modificazioni, e le associazioni delle famiglie.
5. Nell’elaborazione del piano si tiene conto degli effetti sul traffico, sull’inquinamento e sulla qualita’ della vita cittadina degli orari di lavoro pubblici e privati, degli orari di apertura al pubblico dei servizi pubblici e privati, degli uffici periferici delle amministrazioni pubbliche, delle attivita’ commerciali, ferme restando le disposizioni degli articoli da 11 a 13 del decreto
legislativo 31 marzo 1998, n. 114, nonche’ delle istituzioni formative, culturali e del tempo libero.
6. Il piano e’ approvato dal consiglio comunale su proposta del sindaco ed e’ vincolante per l’amministrazione comunale, che deve adeguare l’azione dei singoli assessorati alle scelte in esso contenute. Il piano e’ attuato con ordinanze del sindaco.

Art. 25. (Tavolo di concertazione).
1. Per l’attuazione e la verifica dei progetti contenuti nel piano di cui all’articolo 24, il sindaco istituisce un tavolo di concertazione, cui partecipano:
a) il sindaco stesso o, per suo incarico, il responsabile di cui all’articolo 24, comma 2;
b) il prefetto o un suo rappresentante;
c) il presidente della provincia o un suo rappresentante;
d) i presidenti delle comunita’ montane o loro rappresentanti;
e) un dirigente per ciascuna delle pubbliche amministrazioni non statali coinvolte nel piano;
f) rappresentanti sindacali degli imprenditori della grande, media e piccola impresa, del commercio, dei servizi, dell’artigianato e
dell’agricoltura;
g) rappresentanti sindacali dei lavoratori;
h) il provveditore agli studi ed i rappresentanti delle universita’ presenti nel territorio;
i) i presidenti delle aziende dei trasporti urbani ed extraurbani, nonche’ i rappresentanti delle aziende ferroviarie.
2. Per l’attuazione del piano di cui all’articolo 24, il sindaco promuove accordi con i soggetti pubblici e privati di cui al comma 1.
3. In caso di emergenze o di straordinarie necessita’ dell’utenza o di gravi problemi connessi al traffico e all’inquinamento, il sindaco puo’ emettere ordinanze che prevedano modificazioni degli orari.
4. Le amministrazioni pubbliche, anche territoriali, sono tenute ad adeguare gli orari di funzionamento degli uffici alle ordinanze di cui al comma 3.
5. I comuni capoluogo di provincia sono tenuti a concertare con i comuni limitrofi, attraverso la conferenza dei sindaci, la
riorganizzazione territoriale degli orari. Alla conferenza partecipa un rappresentante del presidente della provincia.
Art. 26. (Orari della pubblica amministrazione).
1. Le articolazioni e le scansioni degli orari di apertura al pubblico dei servizi della pubblica amministrazione devono tenere
conto delle esigenze dei cittadini che risiedono, lavorano ed utilizzano il territorio di riferimento.
2. Il piano di cui all’articolo 24, ai sensi del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni, puo’ prevedere modalita’ ed articolazioni differenziate degli orari di apertura al pubblico dei servizi della pubblica amministrazione.
3. Le pubbliche amministrazioni, attraverso l’informatizzazione deirelativi servizi, possono garantire prestazioni di informazione anche durante gli orari di chiusura dei servizi medesimi e, attraverso la semplificazione delle procedure, possono consentire agli utenti tempi di attesa piu’ brevi e percorsi piu’ semplici per l’accesso ai servizi.
Art. 27. (Banche dei tempi).
1. Per favorire lo scambio di servizi di vicinato, per facilitare l’utilizzo dei servizi della citta’ e il rapporto con le pubbliche
amministrazioni, per favorire l’estensione della solidarieta’ nelle comunita’ locali e per incentivare le iniziative di singoli e gruppi
di cittadini, associazioni, organizzazioni ed enti che intendano scambiare parte del proprio tempo per impieghi di reciproca
solidarieta’ e interesse, gli enti locali possono sostenere e promuovere la costituzione di associazioni denominate “banche dei
tempi”.
2. Gli enti locali, per favorire e sostenere le banche dei tempi, possono disporre a loro favore l’utilizzo di locali e di servizi e
organizzare attivita’ di promozione, formazione e informazione. Possono altresi’ aderire alle banche dei tempi e stipulare con esse accordi che prevedano scambi di tempo da destinare a prestazioni di mutuo aiuto a favore di singoli cittadini o della comunita’ locale. Tali prestazioni devono essere compatibili con gli scopi statutari delle banche dei tempi e non devono costituire modalita’ di esercizio delle attivita’ istituzionali degli enti locali.
Art. 28. (Fondo per l’armonizzazione dei tempi delle citta’).
1. Nell’elaborare le linee guida del piano di cui all’articolo 24, il sindaco prevede misure per l’armonizzazione degli orari che
contribuiscano, in linea con le politiche e le misure nazionali, alla riduzione delle emissioni di gas inquinanti nel settore dei
trasporti. Dopo l’approvazione da parte del consiglio comunale, i piani sono comunicati alle regioni, che li trasmettono al Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) indicandone, ai soli fini del presente articolo, l’ordine di priorita’.
2. Per le finalita’ del presente articolo e’ istituito un Fondo per l’armonizzazione dei tempi delle citta’, nel limite massimo di lire
15 miliardi annue a decorrere dall’anno 2001. Alla ripartizione delle predette risorse provvede il CIPE, sentita la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281.
3. Le regioni iscrivono le somme loro attribuite in un apposito capitolo di bilancio, nel quale confluiscono altresi’ eventuali risorse proprie, da utilizzare per spese destinate ad agevolare l’attuazione dei progetti inclusi nel piano di cui all’articolo 24 e
degli interventi di cui all’articolo 27.
4. I contributi di cui al comma 3 sono concessi prioritariamente per:
a) associazioni di comuni;
b) progetti presentati da comuni che abbiano attivato forme di coordinamento e cooperazione con altri enti locali per l’attuazione di specifici piani di armonizzazione degli orari dei servizi con vasti bacini di utenza;
c) interventi attuativi degli accordi di cui all’articolo 25, comma 2.
5. La Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e’ convocata ogni anno, entro il
mese di febbraio, per l’esame dei risultati conseguiti attraverso l’impiego delle risorse del Fondo di cui al comma 2 e per la
definizione delle linee di intervento futuro. Alle relative riunioni sono invitati i Ministri del lavoro e della previdenza sociale, per
la solidarieta’ sociale, per la funzione pubblica, dei trasporti e della navigazione e dell’ambiente, il presidente della societa’
Ferrovie dello Stato spa, nonche’ i rappresentanti delle associazioni ambientaliste e del volontariato, delle organizzazioni sindacali e di categoria.
6. Il Governo, entro il mese di luglio di ogni anno e sulla base dei lavori della Conferenza di cui al comma 5, presenta al Parlamento una relazione sui progetti di riorganizzazione dei tempi e degli orari delle citta’.
7. All’onere derivante dall’istituzione del Fondo di cui al comma 2 si provvede mediante utilizzazione delle risorse di cui all’articolo 8, comma 10, lettera f), della legge 23 dicembre 1998, n. 448. La presente legge, munita del sigillo dello Stato, sara’ inserita nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. E’ fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato.
La presente legge munita del Sigillo dello Stato, sarà inserita nella Raccolta Ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. E’ fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato.
Data a Roma, addi’ 8 marzo 2000
CIAMPI
D’Alema, Presidente del Consiglio dei Ministri Turco, Ministro per la solidarieta’ sociale
Visto, il Guardasigilli: Diliberto

LAVORI PREPARATORI
Camera dei deputati (atto n. 4624):
Presentato dal Presidente del Consiglio dei Ministri (Prodi) e dal Ministro per la solidarieta’ sociale (Turco) il 3 marzo 1998.
Assegnato alla XI commissione (Lavoro), in sede referente, il 31 marzo 1998, con pareri delle commissioni I, II, V, VI, X e XII.
Esaminato dalla XI commissione il 25 giugno; 24 e 30 settembre 1997; 15, 22 e 28 aprile; 27 maggio; 2, 24 e 30 giugno; 17 e 24 settembre 1998; 25 febbraio; 3, 4, 11 e 16 marzo; 8 e 14 aprile; 6, 12 e 27 maggio; 2 giugno 1999.
Relazione scritta annunciata il 3 giugno 1999 (atti numeri 259, 599, 734, 833, 896, 1170, 1363, 1938-ter, 2207-bis, 2208, 2696, 2838, 3385, 3685, 3871, 4624 e 5287/A – relatore on. Cordoni).
Esaminato in aula il 3 giugno; 6 e 12 ottobre 1999 e approvato il 13 ottobre 1999 in un testo unificato con numeri 259 (Pozza ed altri); 599 (Cordoni ed altri); 734 (Martinat ed altri); 833 (Trantino); 896 (Nardini ed altri); 1170 (Di Capua ed altri); 1363 (Gambale); 1938-ter (Mussi ed altri); 2207-bis (Cordoni ed altri); 2208 (Cordoni ed altri); 2696 (Schmid ed altri); 2838 (Barral e Balocchi); 3385 (Saonara); 3685 (Bergamo); 3871 (Prestigiacomo ed altri) e 5287 (Nardini ed altri).
Senato della Repubblica (atto n. 4275):
Assegnato alla 11a commissione (Lavoro), in sede referente, il 21 ottobre 1999, con pareri delle commissioni 1a, 2a, 5a, 7a, 8a, 10a, 12a e 13a, della commissione speciale in materia di infanzia (in data 21 ottobre 1999) e della commissione parlamentare per le questioni regionali.
Esaminato dalla 11a commissione il 23, 24, 25 e 30 novembre; 1o dicembre 1999.
Relazione scritta annunciata il 9 dicembre 1999 (atti numeri 4275, 115, 192, 345, 1000 e 1179/A – relatore sen. Ornella Piloni).
Esaminato in aula il 16 dicembre 1999; 18, 19 e 20 gennaio 2000 e approvato, con modificazioni, il 25 gennaio 2000.
Camera dei deputati (atto numeri 259, 599, 734, 833, 896, 1170, 1363, 1938-ter, 2207-bis, 2208, 2696, 2838, 3385,
3685, 3871, 4624 e 5287/B):
Assegnato alla XI commissione (Lavoro), in sede referente, il 28 gennaio 2000, con parere della commissione V.
Esaminato dalla XI commissione il 2 febbraio 2000.
Esaminato in aula il 15 febbraio 2000 e approvato il 22 febbraio 2000.

NOTE
Avvertenza:
Il testo delle note qui pubblicato e’ stato redatto dall’amministrazione competente per materia, ai sensi dell’art. 10, commi 2 e 3, del testo unico delle disposizioni sulla promulgazione delle leggi, sull’emanazione dei decreti del Presidente della Repubblica
e sulle pubblicazioni ufficiali della Repubblica italiana, approvato con D.P.R. 28 dicembre 1985, n. 1092, al solo fine di facilitare la lettura delle disposizioni di legge modificate o alle quali e’ operato il rinvio. Restano invariati il valore e l’efficacia degli atti legislativi qui trascritti.
Note all’art. 3:
– La legge 30 dicembre 1971, n. 1204, recante: “Tutela delle lavoratrici madri” e’ pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 18 gennaio 1972, n. 14. Il testo dell’art. 1, come modificato dalla legge qui pubblicata, e’ il seguente: “Art. 1. – Le disposizioni del presente titolo si applicano alle lavoratrici, comprese le apprendiste, che prestano la loro opera alle dipendenze di privati datori di
lavoro, nonche’ alle dipendenti dalle amministrazioni dello Stato, anche ad orientamento autonomo, dalle regioni, dalle province, dai comuni, dagli altri enti pubblici e dalle societa’ cooperative, anche se socie di queste ultime.
Alle lavoratrici a domicilio si applicano le norme del presente titolo di cui agli articoli 2, 4, 6 e 9.
Alle lavoratrici addette ai servizi domestici e familiari si applicano le norme del presente titolo di cui agli articoli 4, 5, 6, 8 e 9.
Il diritto di astenersi dal lavoro di cui all’art. 7, ed il relativo trattamento economico, sono riconosciuti anche se l’altro genitore non ne ha diritto. Le disposizioni di cui al comma 1 dell’art. 7 e al comma 2 dell’art. 15 sono estese alle lavoratrici di cui alla legge 29 dicembre 1987, n. 546, madri di bambini nati a decorrere dal 1o gennaio 2000. Alle predette lavoratrici i diritti previsti dal comma 1 dell’art. 7 e dal comma 2 dell’art. 15 spettano limitatamente ad un periodo di tre mesi, entro il primo anno di vita del bambino.
Sono fatte salve, in ogni caso, le condizioni di maggior favore stabilite da leggi, regolamenti, contratti, e da ogni altra disposizione”.
– La legge 29 dicembre 1987, n. 546 recante:
“Indennita’ di maternita’ per le lavoratrici autonome”, e’ pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 7 gennaio 1988, n. 4.
– La legge 4 gennaio 1968, n. 15, recante: “Norme sulla documentazione amministrativa e sulla legalizzazione e autenticazione di firme”, e’ pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 27 gennaio 1968, n. 23. Il testo dell’art. 4 e’ il seguente: “Art. 4 (Dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorieta’). – L’atto di notorieta’ concernente fatti, stati o qualita’ personali che siano a
diretta conoscenza dell’interessato e’ sostituito da dichiarazione resa e sottoscritta dal medesimo dinanzi al funzionario competente a ricevere la documentazione, o dinanzi ad un notaio, cancelliere, segretario comunale, o altro funzionario incaricato dal sindaco, il quale provvede alla autenticazione della sottoscrizione con la osservanza delle modalita’ di cui all’art. 20.
Quando la dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorieta’ e’ resa ad imprese di gestione di servizi pubblici, la sottoscrizione e’ autenticata, con l’osservanza delle modalita’ di cui all’art. 20, dal funzionario incaricato dal rappresentante legale dell’impresa stessa”.
– Il testo dell’art. 10 della citata legge n. 1204/1971, come modificato dalla legge qui pubblicata, e’ il seguente: “Art. 10. – Il datore di lavoro deve consentire alle lavoratrici madri, durante il primo anno di vita del bambino, due periodi di riposo, anche cumulabili durante la giornata. Il riposo e’ uno solo quando l’orario giornaliero di lavoro e’ inferiore a sei ore.
I periodi di riposo di cui al precedente comma hanno la durata di un’ora ciascuno e sono considerati ore lavorative agli effetti della durata e della retribuzione del lavoro.
Essi comportano il diritto della donna ad uscire dall’azienda.
I periodi di riposo sono di mezz’ora ciascuno, e in tal caso non comportano il diritto ad uscire dall’azienda, quando la lavoratrice voglia usufruire della camera di allattamento o dell’asilo nido, istituiti dal datore di lavoro nelle dipendenze dei locali di lavoro.
I riposi di cui ai precedenti commi sono indipendenti da quelli previsti dagli articoli 18 e 19 della legge 26 aprile 1934, n. 653, sulla tutela del lavoro delle donne.
Ai periodi di riposo di cui al presente articolo si applicano le disposizioni in materia di contribuzione figurativa, nonche’ di riscatto ovvero di versamento dei relativi contributi previsti dal comma 2, lettera b), dell’art. 15.
In caso di parto plurimo, i periodi di riposo sono raddoppiati e le ore aggiuntive rispetto a quelle previste dal primo comma del presente articolo possono essere utilizzate anche dal padre”.
– La legge 12 agosto 1962, n. 1338, recante:
“Disposizioni per il miglioramento dei trattamenti di pensione dell’assicurazione obbligatoria per l’invalidita’, la vecchiaia e i superstiti” e’ pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell’11 settembre 1962, n. 229.
Il testo dell’art. 13 e’ il seguente: “Art. 13. – Ferme restando le disposizioni penali, il datore di lavoro che abbia omesso di versare contributi per l’assicurazione obbligatoria invalidita’, vecchiaia e superstiti e che non possa piu’ versarli per sopravvenuta prescrizione ai sensi dell’art. 55 del regio decreto-legge 4 ottobre 1935, n. 1827, puo’ chiedere all’Istituto nazionale della previdenza sociale di costituire, nei casi previsti dal successivo quarto comma, una rendita vitalizia riversibile pari alla
pensione o quota di pensione adeguata dell’assicurazione obbligatoria che spetterrebbe al lavoratore dipendente in relazione ai contributi omessi.
La corrispondente riserva matematica e’ devoluta, per le rispettive quote di pertinenza, all’assicurazione obbligatoria e al Fondo di adeguamento, dando luogo all’attribuzione a favore dell’interessato di contributi base corrispondenti, per valore e numero, a quelli considerati ai fini del calcolo della rendita.
La rendita integra con effetto immediato la pensione gia’ in essere; in caso contrario i contributi di cui al comma precedente sono valutati a tutti gli effetti ai fini dell’assicurazione obbligatoria per l’invalidita’, la vecchiaia e i superstiti.
Il datore di lavoro e’ ammesso ad esercitare la facolta’ concessagli dal presente articolo su esibizione all’Istituto nazionale della previdenza sociale di documenti di data certa, dai quali possano evincersi la effettiva esistenza e la durata del rapporto di lavoro, nonche’ la misura della retribuzione corrisposta al lavoratore interessato.
Il lavoratore, quando non possa ottenere dal datore di lavoro la costituzione della rendita a norma del presente articolo, puo’ egli stesso sostituirsi al datore di lavoro, salvo il diritto al risarcimento del danno, a condizione che fornisca all’Istituto nazionale della previdenza sociale le prove del rapporto di lavoro e della retribuzione indicate nel comma precedente.
Per la costituzione della rendita’, il datore di lavoro, ovvero il lavoratore allorche’ si verifichi l’ipotesi prevista al quarto comma, deve versare all’Istituto nazionale della previdenza sociale la riserva matematica calcolata in base alle tariffe che sarano all’uopo determinate e variate, quando occorra, con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, sentito il Consiglio di amministrazione dell’Istituto nazionale della previdenza sociale”.
Nota all’art. 5:
– La legge 20 maggio 1970, n. 300, recante: “Norme sulla tutela della liberta’ e dignita’ dei lavoratori, della liberta’ sindacale e dell’attivita’ sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento” e’ pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 27 maggio 1970, n. 131. Il testo dell’art. 10 e’ il seguente: “Art. 10 (Lavoratori studenti). – I lavoratori studenti, iscritti e fequentanti corsi regolari di studio in scuole di istruzione primaria, secondaria e di qualificazione professionale, statali, pareggiate o legalmente riconosciute o comunque abilitate al rilascio di titoli di studio legali, hanno diritto a turni di lavoro che agevolino la frequenza ai corsi e la preparazione agli esami e non sono obbligati a prestazioni di lavoro straordinario o durante i riposi settimanali.
I lavoratori studenti, compresi quelli universitari, che devono sostenere prove di esame, hanno diritto a fruire di permessi giornalieri retribuiti. Il datore di lavoro potra’ richiedere la produzione delle certificazioni necessarie all’esercizio dei diritti
di cui al primo e secondo comma”.
Note all’art. 6:
– La legge 24 giugno 1997, n. 196, pubblicata nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale del 4 luglio 1997, n. 154, reca: “Norme in materia di promozione dell’occupazione”. Il testo dell’art. 17 e’ il seguente:
“Art. 17 (Riordino della formazione professionale). – 1. Allo scopo di assicurare ai lavoratori adeguate opportunita’ di formazione ed elevazione professionale anche attraverso l’integrazione del sistema di formazione professionale con il sistema scolastico e con il mondo del lavoro e un piu’ razionale utilizzo delle risorse vigenti, anche comunitarie, destinate alla formazione professionale e al fine di realizzare la semplificazione normativa e di pervenire ad una disciplina organica della materia, anche
con riferimento ai profili formativi di speciali rapporti di lavoro quali l’apprendistato e il contratto di formazione e lavoro, il presente articolo definisce i seguenti princi’pi e criteri generali, nel rispetto dei quali sono adottate norme di natura regolamentare costituenti la prima fase di un piu’ generale, ampio processo di riforma della disciplina in materia:
a) valorizzazione della formazione professionale quale strumento per migliorare la qualita’ dell’offerta di lavoro, elevare le capacita’ competitive del sistema produttivo, in particolare con riferimento alle medie e piccole imprese e alle imprese artigiane e incrementare l’occupazione, attraverso attivita’ di formazione professionale caratterizzate da moduli flessibili, adeguati
alle diverse realta’ produttive locali nonche’ di promozione e aggiornamento professionale degli imprenditori, dei lavoratori autonomi, dei soci di cooperative, secondo modalita’ adeguate alle loro rispettive specifiche esigenze;
b) attuazione dei diversi interventi formativi anche attraverso il ricorso generalizzato a stages, in grado di realizzare il raccordo tra formazione e lavoro e finalizzati a valorizzare pienamente il momento dell’orientamento nonche’ a favorire un primo contatto dei giovani con le imprese;
c) svolgimento delle attivita’ di formazione professionale da parte delle regioni e/o delle province anche in convenzione con istituti di istruzione secondaria e con enti privati aventi requisiti predeterminati;
d) destinazione progressiva delle risorse di cui al comma 5 dell’art. 9 del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236, agli interventi di formazione dei lavoratori e degli altri soggetti di cui alla lettera a) nell’ambito di piani formativi aziendali o territoriali concordati tra le parti sociali, con specifico riferimento alla formazione di lavoratori in costanza di rapporto di lavoro, di lavoratori collocati in mobilita’, di lavoratori disoccupati per i quali l’attivita’ e’ propedeutica all’assunzione; le risorse di cui alla presente lettera confluiranno in uno o piu’ fondi nazionali, articolati
regionalmente e territorialmente aventi configurazione giuridica di tipo privatistico e gestiti con partecipazione delle parti sociali; dovranno altresi’ essere definiti i meccanismi di integrazione del fondo di rotazione;
e) attribuzione al Ministro del lavoro e della previdenza sociale di funzioni propositive ai fini della definizione da parte del comitato di cui all’art. 5, comma 5, dei criteri e delle modalita’ di certificazione delle competenze acquisite con la formazione professionale;
f) adozione di misure idonee a favorire, secondo piani di intervento predisposti dalle regioni, la formazione e la mobilita’ interna o esterna al settore degli addetti alla formazione professionale nonche’ la ristrutturazione degli enti di formazione e la
trasformazione dei centri in agenzie formative al fine di migliorare l’offerta formativa e facilitare l’integrazione dei sistemi; le risorse finanziarie da destinare a tali interventi saranno individuate con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale nell’ambito delle disponibilita’, da preordinarsi allo scopo, esistenti nel Fondo di cui all’art. 1, comma 7, del decreto-legge
20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236;
g) semplificazione delle procedure, ivi compresa la eventuale sostituzione della garanzia fidejussoria prevista dall’art. 56 della legge 6 febbraio 1996, n. 52, per effetto delle disposizioni di cui ai commi 3 e seguenti definite a livello nazionale anche attraverso parametri standard, con deferimento ad atti delle amministrazioni competenti, adottati anche ai sensi dell’art. 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, ed a strumenti convenzionali oltre che delle
disposizioni di natura integrativa, esecutiva e organizzatoria anche della disciplina di specifici aspetti nei casi previsti dalle disposizioni regolamentari emanate ai sensi del comma 2, con particolare riferimento alla possibilita’ di stabilire requisiti minimi e criteri di valutazione delle sedi operative ai fini dell’accreditamento;
b) abrogazione, ove occorra, delle norme vigenti.
2. Le disposizioni regolamentari di cui al comma 1 sono emanate, a norma dell’art. 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, con uno o piu’ decreti, sulla proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri e del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con i Ministri della pubblica
istruzione, dell’universita’ e della ricerca scientifica e tecnologica, per le pari opportunita’, del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, per la funzione pubblica e gli affari regionali, sentita la conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, previo parere delle competenti commissioni parlamentari.
3. A garanzia delle somme erogate a titolo di anticipo o di acconto a valere sulle risorse del Fondo sociale europeo e dei relativi cofinanziamenti nazionali e’ istituito, presso il Ministero del tesoro – Ragioneria generale dello Stato – Ispettorato generale per l’amministrazione del Fondo di rotazione per l’attuazione delle politiche comunitarie (IGFOR), un fondo di rotazione con amministrazione autonoma e gestione fuori bilancio ai sensi dell’art. 9 della legge 25 novembre 1971, n. 1041.
4. Il fondo di cui al comma 3 e’ alimentato da un contributo a carico dei soggetti privati attuatori degli interventi finanziati, nonche’, per l’anno 1997, da un contributo di lire 30 miliardi che gravera’ sulle disponibilita’ derivanti dal terzo del gettito
della maggiorazione contributiva prevista dall’art. 25 della legge 21 dicembre 1978, n. 845, che affluisce, ai sensi dell’art. 9, comma 5, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236, al Fondo di rotazione per la formazione professionale e per l’accesso al Fondo sociale europeo previsto dal medesimo art. 25 della citata legge n. 845 del 1978.
5. Il fondo di cui al comma 3 utilizzera’ le risorse di cui al comma 4 per rimborsare gli organismi comunitari e nazionali, erogatori dei fmanziamenti, nelle ipotesi di responsabilita’ sussidiaria dello Stato membro, ai sensi dell’art. 23 del regolamento (CEE) n. 2082/93 del Consiglio del 20 luglio 1993, accertate anche precedentemente alla data di entrata in vigore della presente legge.
6. Entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge il Ministro del tesoro, di concerto con il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, stabilisce con proprio decreto le norme di amministrazione e di gestione del fondo di cui al comma 3.
Con il medesimo decreto e’ individuata l’aliquota del contributo a carico dei soggetti privati di cui al comma 4, da calcolare sull’importo del funzionamento concesso, che puo’ essere rideterminata con successivo decreto per assicurare l’equilibrio finanziario del predetto fondo. Il contributo non grava sull’importo dell’aiuto finanziario al quale hanno diritto i beneficiari”.
– Il decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, reca: “Interventi urgenti a sostegno dell’occupazione” (in Gazzetta Ufficiale 20 maggio 1993, n. 11) e convertito in legge, con modificazioni dall’art. 1, comma 1 della legge 19 luglio 1993, n. 236 (in Gazzetta Ufficiale 19 luglio 1993, n. 167). Il testo dell’art. 1, comma 7 e’ il seguente: “7. Per le finalita’ di cui al presente articolo e’ istituito presso il Ministero del lavoro e della previdenza sociale il Fondo per l’occupazione, alimentato dalle risorse di cui all’autorizzazione di spesa stabilita al comma 8, nel quale confluiscono anche i contributi comunitari destinati al finanziamento delle iniziative di cui al presente articolo, su richiesta del Ministero del lavoro e della previdenza sociale. A tale ultimo fine i contributi affluiscono all’entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnati al predetto Fondo”.
Note all’art. 7:
– Il testo dell’art. 2120, comma 8, del codice civile, e’ il seguente: “La richiesta deve essere giustificata dalla necessita’
di:
a) eventuali spese sanitarie per terapie e interventi straordinari riconosciuti dalle competenti strutture pubbliche;
b) acquisto della prima casa di abitazione per se’ o per i figli, documentato con atto notarile”.
– Il decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124 recante “Disciplina delle forme pensionistiche complementari, a norma dell’art. 3, comma 1, lettera v), della legge 23 ottobre 1992, n. 421″ e’ pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 27 aprile 1993, n. 97, supplemento ordinario. Il testo dell’art. 7, comma 4, e’ il seguente: “4.
L’iscritto al fondo da almeno otto anni puo’ conseguire un’anticipazione dei contributi accumulati per eventuali spese sanitarie per terapie ed interventi straordinari riconosciuti dalle competenti strutture pubbliche, ovvero per l’acquisto della prima casa di abitazione per se’ o per i figli, documentato con atto notarile, o per la realizzazione degli interventi di cui alle lettere a), b),
c) e d) del primo comma dell’art. 31 della legge 5 agosto 1978, n. 457, relativamente alla prima casa di abitazione, documentati come previsto dalla normativa stabilita ai sensi dell’art. 1, comma 3, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, con facolta’ di reintegrare la propria posizione nel fondo secondo modalita’ stabilite dal fondo stesso. Non sono ammessi altre anticipazioni o riscatti diversi da quello di cui all’art. 10, comma 1, lettera c). Ai fini della determinazione dell’anzianita’ necessaria per
avvalersi della facolta’ di cui al presente comma sono considerati utili tutti i periodi di contribuzione a forme pensionistiche complementari maturati dall’iscritto per i quali l’interessato non abbia esercitato il riscatto della posizione individuale”.

Nota all’art. 9:
– Per il testo dell’art. 1, comma 7, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236, si veda in nota all’art. 6.
Note all’art. 10:
– Per il titolo della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, si veda in nota all’art. 3.
– Per il testo dell’art. 4 della citata legge n. 1204 del 1971, si veda in note all’art. 11. – Il testo dell’art. 5 della citata legge n. 1204 del 1971 e’ il seguente: “Art. 5. – L’ispettorato del lavoro puo’ disporre, sulla base di accertamento medico, l’interdizione
dal lavoro delle lavoratrici in stato di gravidanza, fino al periodo di astensione di cui alla lettera a) del precedente articolo, per uno o piu’ periodi, la cui durata sara’ determinata dall’ispettorato stesso, per i seguenti motivi:
a) nel caso di gravi complicanze della gestazione o di preesistenti forme morbose che si presume possano essere aggravate dallo stato di gravidanza;
b) quando le condizioni di lavoro o ambientali siano ritenute pregiudizievoli alla salute della donna e del bambino;
c) quando la lavoratrice non possa essere spostata ad altre mansioni, secondo il disposto del precedente art. 3″.
– Per il titolo della legge 29 dicembre 1987, n. 546, si veda in note all’art. 3.
Nota all’art. 11:
– Il testo dell’art. 4 della citata legge n. 1204 del 1971, come modificato dalla legge qui pubblicata, e’ il seguente:
“Art. 4. – E’ vietato adibire al lavoro le donne:
a) durante i due mesi precedenti la data presunta del parto;
b) ove il parto avvenga oltre tale data, per il periodo intercorrente tra la data presunta e la data effettiva del parto;
c) durante i tre mesi dopo il parto.
L’astensione obbligatoria dal lavoro e’ anticipata a tre mesi dalla data presunta del parto quando le lavoratrici sono occupate in lavori che, in relazione all’avanzato stato di gravidanza, siano da ritenersi gravosi o pregiudizievoli.
Tali lavori sono determinati con propri decreti dal Ministro per il lavoro e la previdenza sociale, sentite le organizzazioni sindacali.
Qualora il parto avvenga in data anticipata rispetto a quella presunta, i giorni non goduti di astensione obbligatoria prima del parto vengono aggiunti al periodo di astensione obbligatoria dopo il parto”.
La lavoratrice e’ tenuta a presentare entro trenta giorni, il certificato attestante la data del parto”.
Nota all’art. 12:
– Il decreto del Presidente della Repubblica 25 novembre 1976, n. 1026, recante “Regolamento di esecuzione della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, sulla tutela delle lavoratrici madri”, e’ pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 16 marzo 1977, n. 72. Si riporta il testo dell’art. 5: “Art. 5. – Il divieto di cui all’art. 3, primo comma, della legge si intende riferito al trasporto, sia a braccia e a spalle, sia con carretti a ruote su strada o su guida, e al sollevamento dei pesi, compreso il carico e scarico e
ogni altra operazione connessa. I lavori faticosi, pericolosi ed insalubri, vietati ai sensi dello stesso articolo, sono i seguenti:
A) quelli previsti dagli articoli 1 e 2 del decreto del Presidente della Repubblica 20 gennaio 1976, n. 432, recante la determinazione dei lavori pericolosi, faticosi e insalubri ai sensi dell’art. 6 della legge 17 ottobre 1967, n. 977, sulla tutela del lavoro dei fanciulli e degli adolescenti;
B) quelli indicati nella tabella allegata al decreto del Presidente della Repubblica 19 marzo 1956, n. 303, per i quali vige l’obbligo delle visite mediche preventive e periodiche: durante la gestazione e per 7 mesi dopo il parto;
C) quelli che espongono alla silicosi e all’asbestosi, nonche’ alle altre malattie professionali di cui agli allegati 4 e 5 al decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, e successive modificazioni: durante la gestazione e fino a 7 mesi dopo
il parto;
D) i lavori che comportano l’esposizione alle radiazioni ionizzanti di cui all’art. 65 del decreto del Presidente della Repubblica 13 febbraio 1964, n. 185: durante la gestazione e per 7 mesi dopo il parto;
E) i lavori su scale ed impalcature mobili e fisse: durante la gestazione e fino al termine del periodo di interdizione dal lavoro;
F) i lavori di manovalanza pesante: durante la gestazione e fino al termine del periodo di interdizione dal lavoro;
G) i lavori che comportano una stazione in piedi per piu’ di meta’ dell’orario o che obbligano ad una posizione particolannente affaticante: durante la gestazione e fino al termine di interdizione dal lavoro;
H) i lavori con macchina mossa a pedale, o comandata a pedale, quando il ritmo del movimento sia frequente, o esiga un notevole sforzo: durante la gestazione e fino al termine del periodo di interdizione dal lavoro;
I) i lavori con macchine scuotenti o con utensili che trasmettono intense vibrazioni: durante la gestazione e fino al termine del periodo di interdizione dal lavoro;
L) i lavori di assistenza e cura degli infermi nei sanatori e nei reparti per malattie infettive e per malattie nervose e mentali: durante la gestazione e per 7 mesi dopo il parto;
M) i lavori agricoli che implicano la manipolazione e l’uso di sostanze tossiche o altrimenti nocive nella concimazione del terreno e nella cura del bestiame: durante la gestazione e per 7 mesi dopo il parto;
N) i lavori di monda e trapianto del riso: durante la gestazione e fino al termine del periodo di interdizione dal lavoro;
O) i lavori a bordo delle navi, degli aerei, dei treni, dei pullman e di ogni altro mezzo di comunicazione in moto: durante la gestazione e fino al termine del periodo di interdizione dal lavoro.
Il periodo per il quale e’ previsto, ai sensi del terzo comma dell’art. 3 della legge, che la lavoratrice possa essere spostata ad altre mansioni, puo’ essere frazionato in periodi minori anche rinnovabili, su disposizione dell’ispettorato del lavoro, tenuto anche conto dello stato di salute dell’interessata. L’ispettorato del lavoro puo’ ritenere che sussistano condizioni ambientali sfavorevoli agli effetti dell’art. 3, terzo comma, e dell’art. 5, lettera b), della legge anche quando vi siano periodi di contagio derivanti alla lavoratrice dai contatti di lavoro con il pubblico o con particolari strati di popolazione, specie in periodi di epidemia.
Ai fini dell’applicazione del presente articolo, il certificato medico di gravidanza dovra’ essere presentato il piu’ presto possibile. Ad ogni modo, eventuali ritardi non comportano la perdita dei diritti derivanti dalle norme di tutela fisica, le quali pero’ diventano operanti soltanto dopo la presentazione di detto documento”.
Note all’art. 13:
– La legge 9 dicembre 1977, n. 903 recante “Parita’ di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro” e’ pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 17 dicembre 1977, n. 343. Il testo dell’art. 6 e’ il seguente:
“Art. 6. – Le lavoratrici che abbiano adottato bambini, o che li abbiano ottenuti in affidamento preadottivo, ai sensi dell’art. 314/20 del codice civile, possono avvalersi sempreche’ in ogni caso il bambino non abbia superato al momento dell’adozione o dell’affidamento i sei anni di eta’, dell’astensione obbligatoria dal lavoro di cui all’art. 4, lettera c), della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, e del trattamento economico relativo, durante i primi tre mesi successivi all’effettivo ingresso del bambino nella famiglia adottiva o affidataria.
Le stesse lavoratrici possono altresi’ avvalersi del diritto di assentarsi dal lavoro di cui all’art. 7, primo comma, della legge di cui sopra entro un anno dall’effettivo ingresso del bambino nella famiglia e sempreche’ il bambino non abbia superato i tre anni di
eta’, nonche’ del diritto di assentarsi dal lavoro previsto dal secondo comma dello stesso art. 7″.
– Per il testo dell’art. 4 della legge 4 gennaio 1968, n. 15, si veda in nota all’art. 3.
– Il testo dell’art. 6 della citata legge n. 1204 del 1971 e’ il seguente:
“Art. 6. – I periodi di astensione obbligatoria dal lavoro ai sensi degli articoli 4 e 5 della presente legge levono essere computati nell’anzianita’ di servizio a tutti gli effetti, compresi quelli relativi alla tredicesima mensilita’ o alla gratifica natalizia e alle ferie.”.
– Per il testo dell’art. 2 della legge n. 1204/1971, si veda in nota all’art. 17.
– Per il testo dell’art. 10 della legge n. 1204/1971, si veda in nota all’art. 3.
Nota all’art. 14:
– La legge 7 agosto 1990, n. 232 recante “Coperture per le spese derivanti dall’applicazione dell’accordo per il triennio 1988-1990 relativo al personale della Polizia di Stato ed estensione agli altri Corpi di Polizia” e’ pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell’11 agosto 1990, n. 187, supplemento ordinario. Il testo del primo periodo del comma 1, dell’art. 13 e’ il seguente:
“Art. 13 (Tutela delle lavoratrici madri). – E’ vietato adibire al lavoro operativo le appartenenti alla Polizia di Stato durante la gestazione fermo restando quanto previsto dalla legge 30 dicembre 1971, n. 1204″.
Note all’art. 17:
– Si riporta il testo dell’art. 2 della citata legge n. 1204/1971, come modificato dalla legge qui pubblicata: “Art. 2. – Le lavoratrici non possono essere licenziate dall’inizio del periodo di gestazione fino al termine del periodo di interdizione dal lavoro previsto dall’art. 4 della presente legge, nonche’ fino al compimento di un anno di eta’ del bambino.
Il divieto di licenziamento opera in connessione con lo stato oggettivo di gravidanza e puerperio, e la lavoratrice, licenziata nel corso del periodo in cui opera il divieto, ha diritto di ottenere il ripristino del rapporto di lavoro mediante presentazione, entro novanta giorni dal licenziamento, di idonea certificazione dalla quale risulti l’esistenza, all’epoca del licenziamento, delle condizioni che lo vietavano.
Il divieto di licenziamento non si applica nel caso:
a) di colpa grave da parte della lavoratrice, costituente giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro;
b) di cessazione dell’attivita’ dell’azienda cui essa e’ addetta;
c) di ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice e’ stata assunta o di risoluzione del rapporto di lavoro per la scadenza del termine.
Le lavoratrici addette ad industrie e lavorazioni che diano luogo a disoccupazione stagionale, di cui alla tabella annessa al decreto ministeriale 30 novembre 1964, e successive modificazioni, le quali siano licenziate a norma della lettera b) del terzo comma del presente articolo, hanno diritto, per tutto il periodo in cui opera il divieto di licenziamento, alla ripresa dell’attivita’ lavorativa stagionale e, sempreche’ non si trovino in periodo di astensione obbligatoria dal lavoro, alla precedenza nelle
riassunzioni. Durante il periodo nel quale opera il divieto di licenziamento, la lavoratrice non puo’ essere sospesa dal lavoro, salvo il caso che sia sospesa l’attivita’ dell’azienda o del reparto cui essa e’ addetta, sempreche’ il reparto stesso abbia autonomia funzionale.
Al termine del periodo di interdizione dal lavoro previsto dall’art. 4 della presente legge le lavoratrici hanno diritto, salvo che espressamente vi rinuncino, di rientrare nella stessa unita’ produttiva ove erano occupate all’inizio del periodo di gestazione o in altra ubicata nel medesimo comune, e di permanervi fino al compimento di un anno di eta’ del bambino; hanno altresi’ diritto di essere adibite alle mansioni da ultimo svolte o a mansioni equivalenti”.
– Per il titolo della legge 9 dicembre 1977, n. 903, si veda in note all’art. 13.
Nota all’art. 19:
– La legge 5 febbraio 1992, n. 104, recante “Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate”, e’ pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 17 febbraio 1992, n. 39, supplemento ordinario. Il testo dell’art. 33, come modificato dalla legge qui pubblicata, e’ il seguente: “Art. 33 (Agevolazioni). – 1. La lavoratrice madre o, in alternativa, il lavoratore padre, anche adottivi, di minore con handicap in situazione di gravita’ accertata ai sensi dell’art. 4, comma 1, hanno diritto al prolungamento fino a tre anni del periodo di astensione facoltativa dal lavoro di cui all’art. 7 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, a condizione che il bambino non sia ricoverato a tempo pieno presso istituti specializzati.
2. I soggetti di cui al comma 1 possono chiedere ai rispettivi datori di lavoro di usufruire, in alternativa al prolungamento fino a tre anni del periodo di astensione facoltativa, di due ore di permesso giornaliero retribuito fino al compimento del terzo anno di vita del bambino.
3. Successivamente al compimento del terzo anno di vita del bambino, la lavoratrice madre o, in alternativa, il lavoratore padre, anche adottivi, di minore con handicap in situazione di gravita’, nonche’ colui che assiste una persona con handicap in situazione di gravita’, parente o affine entro il terzo grado, convivente, hanno diritto a tre giorni di permesso mensile, coperti da contribuzione figurativa fruibili anche in maniera continuativa a condizione che la persona con handicap in situazione di
gravita’ non sia ricoverata a tempo pieno.
4. Ai permessi di cui ai commi 2 e 3, che si cumulano con quelli previsti all’art. 7 della citata legge n. 1204 del 1971, si applicano le disposizioni di cui all’ultimo comma del medesimo art. 7 della legge n. 1204 del 1971, nonche’ quelle contenute negli articoli 7 e 8 della legge 9 dicembre 1977, n. 903.
5. Il genitore o il familiare lavoratore, con rapporto di lavoro pubblico o privato, che assista con continuita’ un parente o un affine entro il terzo grado handicappato ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro piu’ vicina al proprio domicilio e non puo’ essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede.
6. La persona handicappata maggiorenne in situazione di gravita’ puo’ usufruire alternativamente dei permessi di cui ai commi 2 e 3, ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro piu’ vicina al proprio domicilio e non puo’ essere trasferita in altra sede, senza il suo consenso.
7. Le disposizioni di cui ai commi 1, 2, 3, 4 e 5 si applicano anche agli affidatari di persone bandicappate in situazione di gravita’”.

Nota all’art. 20:
– Il testo dell’art. 33 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e’ riportato in nota all’art. 19.
Note all’art. 21:
– Il decreto-legge 20 gennaio 1998, n. 4 (in Gazzetta Ufficiale 21 gennaio 1998, n. 16), convertito, con modificazioni, dalla legge 20 marzo 1998, n. 52 (in Gazzetta Ufficiale 21 marzo 1998, n. 67) reca “Disposizioni urgenti in materia di sostegno al reddito, di incentivazione all’occupazione e di carattere previdenziale”. Il testo dell’art. 3 e’ il seguente: “Art. 3 (Integrazione del Fondo per l’occupazione). – 1. Per il finanziamento del Fondo di cui all’art. 1, comma 7, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236, e’ autorizzata la spesa di lire 976 miliardi per l’anno 1998, di lire 913 miliardi per l’anno 1999 e di lire 714 miliardi a decorrere dall’anno 2000. Al relativo onere si provvede
mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 1998-2000, nell’ambito dell’unita’ previsionale di base di parte corrente “Fondo speciale” del Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica per l’anno 1998, parzialmente utilizzando:
a) quanto a lire 973 miliardi per il 1998, a lire 913 miliardi per l’anno 1999 e a lire 714 miliardi a decorrere dall’anno 2000, l’accantonamento relativo al Ministero del lavoro e della previdenza sociale;
b) quanto a lire 3 miliardi per il 1998, l’accantonamento relativo al Ministero per le politiche agricole”.
– Il testo dell’art. 1 della legge 28 agosto 1997, n. 285, recante: “Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunita’ per l’infanzia e l’adolescenza”, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 5 settembre 1997, n. 207, e’ il seguente: “Art. 1 (Fondo nazionale per l’infanzia e l’adolescenza). – 1. E’ istituito, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Fondo nazionale per l’infanzia
l’adolescenza finalizzato alla realizzazione di interventi a livello nazionale, regionale e locale per favorire la promozione dei diritti, la qualita’ della vita, lo sviluppo, la realizzazione individuale e la socializzazione dell’infanzia e dell’adolescenza, privilegiando l’ambiente ad esse piu’ confacente ovvero la famiglia naturale, adottiva o affidataria, in attuazione dei principi della
Convenzione sui diritti del fanciullo resa esecutiva ai sensi della legge 27 maggio 1991, n. 176, e degli articoli 1 e 5 della legge 5 febbraio 1992, n. 104.
2. Il Fondo e’ ripartito tra le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano. Una quota pari al trenta per cento delle risorse del Fondo e’ riservata al, finanziamento di interventi da realizzare nei comuni di Venezia, Milano, Torino, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Bari, Brindisi, Taranto, Reggio Calabria, Catania, Palermo e Cagliari. La ripartizione del Fondo e della quota riservata avviene, per il cinquanta per cento, sulla base dell’ultima rilevazione della popolazione minorile
effettuata dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) e per il cinquanta per cento secondo i seguenti criteri:
a) carenza di strutture per la prima infanzia secondo le indicazioni del Centro nazionale di documentazione e di analisi per l’infanzia della Presidenza del Consiglio dei Ministri;
b) numero di minori presenti in presidi residenziali socioassistenziali in base all’ultima rilevazione dell’ISTAT;
c) percentuale di dispersione scolastica nella scuola dell’obbligo come accertata dal Ministero della pubblica istruzione;
d) percentuale di famiglie con figli minori che vivono al di sotto della soglia di poverta’ cosi’ come stimata dall’ISTAT;
e) incidenza percentuale del coinvolgimento di minori in attivita’ criminose come accertata dalla Direzione generale dei servizi civili del Ministero dell’interno, nonche’ dall’Ufficio centrale per la giustizia minorile del Ministero di grazia e giustizia.
3. Entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Ministro per la solidarieta’ sociale, con proprio decreto emanato di concerto con i Ministri dell’interno, del tesoro, di grazia e giustizia e con il Ministro per le pari opportunita’,
sentite la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano nonche’ le Commissioni parlamentari competenti, provvede alla ripartizione delle quote del Fondo tra le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e di quelle riservate ai comuni, ai sensi del comma 2.
4. Per il finanziamento del Fondo e’ autorizzata la spesa di lire 117 miliardi per l’anno 1997 e di lire 312 miliardi a decorrere dall’anno 1998″.
Nota all’art. 22:
– Il testo dell’art. 36, comma 3, della legge 8 giugno 1990, n. 142, e successive modificazioni, recante “Ordinamento delle autonomie locali” e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 12 giugno 1990, n. 135, supplemento ordinario, e’ il seguente:
“3. Il sindaco coordina e riorganizza, sulla base degli indirizzi espressi dal consiglio comunale e nell’ambito dei criteri eventualmente indicati dalla regione, gli orari degli esercizi commerciali, dei pubblici esercizi e dei servizi pubblici, nonche’, d’intesa con i responsabili territorialmente competenti delle amministrazioni interessate, gli orari di apertura al pubblico degli uffici pubblici localizzati nel territorio, al fine di armonizzare l’espletamento dei servizi con le esigenze complessive e
generali degli utenti”.
Nota all’art. 23:
– Il testo dell’art. 36, comma 3, della legge 8 giugno 1990, n. 142, e successive modificazioni, e’ riportato in nota all’art. 22.
Note all’art. 24:
– Il testo dell’art. 6 della citata legge 8 giugno 1990, n. 142, e successive modificazioni, e’ il seguente: “Art. 6 (Partecipazione popolare). – 1. I comuni valorizzano le libere forme associative e promuovono organismi di partecipazione popolare all’amministrazione locale, anche su base di quartiere o di frazione. I rapporti di tali forme associative con il comune sono
disciplinati dallo statuto.
2. Nel procedimento relativo all’adozione di atti che incidono su situazioni giuridiche soggettive devono essere previste forme di partecipazione degli interessati secondo le modalita’ stabilite dallo statuto, nell’osservanza dei principi stabiliti dalla legge 7 agosto 1990, n. 241.
3. Nello statuto devono essere previste forme di consultazione della popolazione nonche’ procedure per l’ammissione di istanze, petizioni e proposte di cittadini singoli o associati dirette a promuovere interventi per la migliore tutela di interessi collettivi e devono essere altresi’ determinate le garanzie per il loro tempestivo esame. Possono essere altresi’ previsti referendum anche su richiesta di un adeguato numero di cittadini.
4. Le consultazioni e i referendum di cui al presente articolo devono riguardare materie di esclusiva competenza locale e non possono avere luogo in coincidenza con operazioni elettorali provinciali, comunali e circoscrizionali”.
– Il testo degli articoli da 11 a 13 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, recante “Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell’art. 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59″ e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 24 aprile 1998, n. 95, supplemento ordinario, e’ il seguente: “Art. 11 (Orario di apertura e di chiusura). – 1. Gli orari di apertura e di chiusura al pubblico degli esercizi di vendita al dettaglio sono rimessi alla libera determinazione degli esercenti nel
rispetto delle disposizioni del presente articolo e dei criteri emanati dai comuni, sentite le organizzazioni locali dei consumatori, delle imprese del commercio e dei lavoratori dipendenti, in esecuzione di quanto disposto dall’art. 36, comma 3, della legge 8 giugno 1990, n. 142.
2. Fatto salvo quanto disposto al comma 4, gli esercizi commerciali di vendita al dettaglio possono restare aperti al pubblico in tutti i giorni della settimana dalle ore sette alle ore ventidue. Nel rispetto di tali limiti l’esercente puo’ liberamente determinare l’orario di apertura e di chiusura del proprio esercizio non superando comunque il limite delle tredici ore giornaliere.
3. L’esercente e’ tenuto a rendere noto al pubblico l’orario di effettiva apertura e chiusura del proprio esercizio mediante cartelli o altri mezzi idonei di informazione.
4. Gli esercizi di vendita al dettaglio osservano la chiusura domenicale e festiva dell’esercizio e, nei casi stabiliti dai comuni, sentite le organizzazioni di cui al comma l, la mezza giornata di chiusura infrasettimanale.
5. Il comune, sentite le organizzazioni di cui al comma 1, individua i giorni e le zone del territorio nei quali gli esercenti possono derogare all’obbligo di chiusura domenicale e festiva. Detti giorni comprendono comunque quelli del mese di dicembre, nonche’ ulteriori otto domeniche o festivita’ nel corso degli altri mesi dell’anno”.
“Art. 12 (Comuni ad economia prevalentemente turistica e citta’ d’arte). – 1. Nei comuni ad economia prevalentemente turistica, nelle citta’ d’arte o nelle zone del territorio dei medesimi, gli esercenti determinano liberamente gli orari di apertura e di chiusura e possono derogare dall’obbligo di cui all’art. 11, comma 4.
2. Al fine di assicurare all’utenza, soprattutto nei periodi di maggiore afflusso turistico, idonei livelli di servizio e di informazione, le organizzazioni locali dei consumatori, delle imprese del commercio e del turismo e dei lavoratori dipendenti, possono definire accordi da sottoporre al sindaco per l’esercizio delle funzioni di cui all’articolo 36, comma 3, della legge 8 giugno 1990, n.
142.
3. Entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, anche su proposta dei comuni interessati e sentite le organizzazioni dei consumatori, delle imprese del commercio e del turismo e dei lavoratori dipendenti, le regioni individuano i comuni ad economia prevalentemente turistica, le citta’ d’arte o le zone del territorio dei medesimi e i periodi di maggiore afflusso turistico nei quali gli esercenti possono esercitare la facolta’ di cui al comma 1″.
“Art. 13 (Disposizioni speciali) . – 1. Le disposizioni del presente titolo non si applicano alle seguenti tipologie di attivita’: le rivendite di generi di monopolio; gli esercizi di vendita interni ai campeggi, ai villaggi e ai complessi turistici e alberghieri; gli
esercizi di vendita al dettaglio situati nelle aree di servizio lungo le autostrade, nelle stazioni ferroviarie, marittime ed aeroportuali; alle rivendite di giornali; le gelaterie e gastronomie; le rosticcerie e le pasticcerie; gli esercizi specializzati nella vendita di bevande, fiori, piante e articoli da giardinaggio, mobili, libri, dischi, nastri magnetici, musicassette, videocassette, opere d’arte, oggetti d’antiquariato, stampe, cartoline, articoli da ricordo e artigianato locale, nonche’ le stazioni di servizio autostradali, qualora le attivita’ di vendita previste dal presente comma siano svolte in maniera esclusiva e prevalente, e le sale cinematografiche.
2. Gli esercizi del settore alimentare devono garantire l’apertura al pubblico in caso di piu’ di due festivita’ consecutive. Il sindaco definisce le modalita’ per adempiere all’obbligo di cui al presente comma.
3. I comuni possono autorizzare, in base alle esigenze dell’utenza e alle peculiari caratteristiche del territorio, l’esercizio dell’attivita’ di vendita in orario notturno esclusivamente per un limitato numero di esercizi di vicinato”.

Nota all’art. 26:
– Il decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni, recante: “Razionalizzazione dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell’art. 2, della legge 23 ottobre 1992, n. 421″, e’ pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 6 febbraio 1993, n. 30, supplemento ordinario.

Nota all’art. 28:
– Il testo dell’art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, recante: “Definizione ed ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le
materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato-citta’ ed autonomie locali”, e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 30 agosto 1997, n. 202, e’ il seguente: “Art. 8 (Conferenza Stato-citta’ ed autonomie locali e Conferenza unificata). – 1. La Conferenza Stato-citta’ ed autonomie locali e’ unificata per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province, dei comuni e delle comunita’ montane, con la Conferenza
Stato-regioni.
2. La Conferenza Stato-citta’ ed autonomie locali e’ presieduta dal Presidente del Consiglio dei Ministri o, per sua delega, dal Ministro dell’interno o dal Ministro per gli affari regionali; ne fanno parte altresi’ il Ministro del tesoro e del bilancio e della programmazione economica, il Ministro delle finanze, il Ministro dei lavori pubblici, il Ministro della sanita’, il presidente dell’Associazione nazionale dei comuni d’Italia – ANCI, il presidente dell’Unione province d’Italia – UPI ed il presidente
dell’Unione nazionale comuni, comunita’ ed enti montani – UNCEM. Ne fanno parte inoltre quattordici sindaci designati dall’ANCI e sei presidenti di provincia designati dall’UPI.
Dei quattordici sindaci designati dall’ANCI cinque rappresentano le citta’ individuate dall’art. 17 della legge 8 giugno 1990, n. 142. Alle riunioni possono essere invitati altri membri del Governo, nonche’ rappresentanti di amministrazioni statali, locali o di enti pubblici.
3. La Conferenza Stato-citta’ ed autonomie locali e’ convocata almeno ogni tre mesi, e comunque in tutti i casi il presidente ne ravvisi la necessita’ o qualora ne faccia richiesta il presidente dell’ANCI, dell’UPI o dell’UNCEM.
4. La Conferenza unificata di cui al comma 1 e’ convocata dal Presidente del Consiglio dei Ministri. Le sedute sono presiedute dal Presidente del Consiglio dei Ministri o, su sua delega, dal Ministro per gli affari regionali o, se tale incarico non e’ conferito, dal Ministro dell’interno”.
Nota all’art. 28:
– Il testo dell’art. 8, comma 10, lettera f), della legge 23 dicembre 1998, n. 448, recante, “Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo” e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 29 dicembre 1998, n. 302, supplemento ordinario, e’ il seguente: “10. Le maggiori entrate derivanti per effetto delle disposizioni di cui ai commi precedenti sono destinate:
a-e) (omissis); f) a misure compensative di settore con incentivi per la riduzione delle emissioni inquinanti, per l’efficienza
energetica e le fonti rinnovabili nonche’ per la gestione di reti di teleriscaldamento alimentato con biomassa quale fonte energetica nei comuni ricadenti nelle predette zone climatiche E ed F, con la concessione di un’agevolazione fiscale con credito d’imposta pari a lire 20 per ogni chilovattora (Kwh) di calore fornito, da traslare sul prezzo di cessione all’utente finale”.

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L. 8 marzo 2000, n. 53

Legge Nazionale

Disposizioni per il sostegno della maternita’ e della paternita’, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle citta’.

L. 8 marzo 2000, n. 53

Disposizioni per il sostegno della maternita’ e della paternita’, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle citta’. (G.U. n. 60 del 13-03-2000)

Capo I
PRINCIPI GENERALI
Art. 1. (Finalita’).
1. La presente legge promuove un equilibrio tra tempi di lavoro, di cura, di formazione e di relazione, mediante:
a) l’istituzione dei congedi dei genitori e l’estensione del sostegno ai genitori di soggetti portatori di handicap;
b) l’istituzione del congedo per la formazione continua e l’estensione dei congedi per la formazione;
c) il coordinamento dei tempi di funzionamento delle citta’ e la promozione dell’uso del tempo per fini di solidarieta’ sociale.

Art. 2. (Campagne informative).
1. Al fine di diffondere la conoscenza delle disposizioni della presente legge, il Ministro per la solidarieta’ sociale e’ autorizzato a predisporre, di concerto con il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, apposite campagne informative, nei limiti degli ordinari stanziamenti di bilancio destinati allo scopo.
Capo II
CONGEDI PARENTALI, FAMILIARI E FORMATIVI
Art. 3. (Congedi dei genitori).
1. All’articolo 1 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, dopo il terzo comma e’ inserito il seguente: “Il diritto di astenersi dal
lavoro di cui all’articolo 7, ed il relativo trattamento economico, sono riconosciuti anche se l’altro genitore non ne ha diritto. Le
disposizioni di cui al comma 1 dell’articolo 7 e al comma 2 dell’articolo 15 sono estese alle lavoratrici di cui alla legge 29
dicembre 1987, n. 546, madri di bambini nati a decorrere dal 1o gennaio 2000. Alle predette lavoratrici i diritti previsti dal comma 1 dell’articolo 7 e dal comma 2 dell’articolo 15 spettano limitatamente ad un periodo di tre mesi, entro il primo anno di vita del bambino”.
2. L’articolo 7 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, e’ sostituito dal seguente:
Art. 7. – 1. Nei primi otto anni di vita del bambino ciascun genitore ha diritto di astenersi dal lavoro secondo le modalita’ stabilite dal presente articolo. Le astensioni dal lavoro dei genitori non possono complessivamente eccedere il limite di dieci mesi, fatto salvo il disposto del comma 2 del presente articolo. Nell’ambito del predetto limite, il diritto di astenersi dal lavoro compete:
a) alla madre lavoratrice, trascorso il periodo di astensione obbligatoria di cui all’articolo 4, primo comma, lettera c), della
presente legge, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a sei mesi;
b) al padre lavoratore, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a sei mesi;
c) qualora vi sia un solo genitore, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a dieci mesi.
2. Qualora il padre lavoratore eserciti il diritto di astenersi dal lavoro per un periodo non inferiore a tre mesi, il limite di cui alla
lettera b) del comma 1 e’ elevato a sette mesi e il limite complessivo delle astensioni dal lavoro dei genitori di cui al
medesimo comma e’ conseguentemente elevato a undici mesi.
3. Ai fini dell’esercizio del diritto di cui al comma 1, il genitore e’ tenuto, salvo casi di oggettiva impossibilita’, a preavvisare il
datore di lavoro secondo le modalita’ e i criteri definiti dai contratti collettivi, e comunque con un periodo di preavviso non
inferiore a quindici giorni.
4. Entrambi i genitori, alternativamente, hanno diritto, altresi’, di astenersi dal lavoro durante le malattie del bambino di eta’
inferiore a otto anni ovvero di eta’ compresa fra tre e otto anni, in quest’ultimo caso nel limite di cinque giorni lavorativi all’anno per ciascun genitore, dietro presentazione di certificato rilasciato da un medico specialista del Servizio sanitario nazionale o con esso convenzionato. La malattia del bambino che dia luogo a ricovero ospedaliero interrompe il decorso del periodo di ferie in godimento da parte del genitore.
5. I periodi di astensione dal lavoro di cui ai commi 1 e 4 sono computati nell’anzianita’ di servizio, esclusi gli effetti relativi
alle ferie e alla tredicesima mensilita’ o alla gratifica natalizia. Ai fini della fruizione del congedo di cui al comma 4, la lavoratrice
ed il lavoratore sono tenuti a presentare una dichiarazione rilasciata ai sensi dell’articolo 4 della legge 4 gennaio 1968, n. 15, attestante che l’altro genitore non sia in astensione dal lavoro negli stessi giorni per il medesimo motivo”.
3. All’articolo 10 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, sono aggiunti, in fine, i seguenti commi: “Ai periodi di riposo di cui al
presente articolo si applicano le disposizioni in materia di contribuzione figurativa, nonche’ di riscatto ovvero di versamento dei relativi contributi previsti dal comma 2, lettera b), dell’articolo 15. In caso di parto plurimo, i periodi di riposo sono raddoppiati e le ore aggiuntive rispetto a quelle previste dal primo comma del presente articolo possono essere utilizzate anche dal padre”.
4. L’articolo 15 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, e’ sostituito dal seguente:
“Art. 15. – 1. Le lavoratrici hanno diritto ad un’indennita’ giornaliera pari all’80 per cento della retribuzione per tutto il periodo di astensione obbligatoria dal lavoro stabilita dagli articoli 4 e 5 della presente legge. Tale indennita’ e’ comprensiva di ogni altra indennita’ spettante per malattia.
2. Per i periodi di astensione facoltativa di cui all’articolo 7, comma 1, ai lavoratori e alle lavoratrici e’ dovuta:
a) fino al terzo anno di vita del bambino, un’indennita’ pari al 30 per cento della retribuzione, per un periodo massimo complessivo tra i genitori di sei mesi; il relativo periodo, entro il limite predetto, e’ coperto da contribuzione figurativa;
b) fuori dei casi di cui alla lettera a), fino al compimento dell’ottavo anno di vita del bambino, e comunque per il restante
periodo di astensione facoltativa, un’indennita’ pari al 30 per cento della retribuzione, nell’ipotesi in cui il reddito individuale
dell’interessato sia inferiore a 2,5 volte l’importo del trattamento minimo di pensione a carico dell’assicurazione generale obbligatoria;
il periodo medesimo e’ coperto da contribuzione figurativa, attribuendo come valore retributivo per tale periodo il 200 per cento del valore massimo dell’assegno sociale, proporzionato ai periodi di riferimento, salva la facolta’ di integrazione da parte
dell’interessato, con riscatto ai sensi dell’articolo 13 della legge 12 agosto 1962, n. 1338, ovvero con versamento dei relativi
contributi secondo i criteri e le modalita’ della prosecuzione volontaria.
3. Per i periodi di astensione per malattia del bambino di cui all’articolo 7, comma 4, e’ dovuta:
a) fino al compimento del terzo anno di vita del bambino, la contribuzione figurativa;
b) successivamente al terzo anno di vita del bambino e fino al compimento dell’ottavo anno, la copertura contributiva calcolata con le modalita’ previste dal comma 2, lettera b).
4. Il reddito individuale di cui al comma 2, lettera b), e’ determinato secondo i criteri previsti in materia di limiti reddituali per l’integrazione al minimo.
5. Le indennita’ di cui al presente articolo sono corrisposte con gli stessi criteri previsti per l’erogazione delle prestazioni
dell’assicurazione obbligatoria contro le malattie dall’ente assicuratore della malattia presso il quale la lavoratrice o il
lavoratore e’ assicurato e non sono subordinate a particolari requisiti contributivi o di anzianita’ assicurativa”.
5. Le disposizioni del presente articolo trovano applicazione anche nei confronti dei genitori adottivi o affidatari. Qualora, all’atto dell’adozione o dell’affidamento, il minore abbia un’eta’ compresa fra sei e dodici anni, il diritto di astenersi dal lavoro, ai sensi dei commi 1 e 2 del presente articolo, puo’ essere esercitato nei primi tre anni dall’ingresso del minore nel nucleo familiare. Nei confronti delle lavoratrici a domicilio e delle addette ai servizi domestici e familiari, le disposizioni dell’articolo 15 della legge
30 dicembre 1971, n. 1204, come sostituito dal comma 4 del presente articolo, si applicano limitatamente al comma 1.

Art. 4. (Congedi per eventi e cause particolari).
1. La lavoratrice e il lavoratore hanno diritto ad un permesso retribuito di tre giorni lavorativi all’anno in caso di decesso o di
documentata grave infermita’ del coniuge o di un parente entro il secondo grado o del convivente, purche’ la stabile convivenza con il lavoratore o la lavoratrice risulti da certificazione anagrafica. In alternativa, nei casi di documentata grave infermita’, il lavoratore e la lavoratrice possono concordare con il datore di lavoro diverse modalita’ di espletamento dell’attivita’ lavorativa.
2. I dipendenti di datori di lavoro pubblici o privati possono richiedere, per gravi e documentati motivi familiari, fra i quali le
patologie individuate ai sensi del comma 4, un periodo di congedo, continuativo o frazionato, non superiore a due anni. Durante tale periodo il dipendente conserva il posto di lavoro, non ha diritto alla retribuzione e non puo’ svolgere alcun tipo di attivita’
lavorativa. Il congedo non e’ computato nell’anzianita’ di servizio ne’ ai fini previdenziali; il lavoratore puo’ procedere al riscatto,
ovvero al versamento dei relativi contributi, calcolati secondo i criteri della prosecuzione volontaria.
3. I contratti collettivi disciplinano le modalita’ di partecipazione agli eventuali corsi di formazione del personale che riprende
l’attivita’ lavorativa dopo la sospensione di cui al comma 2.
4. Entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Ministro per la solidarieta’ sociale, con proprio
decreto, di concerto con i Ministri della sanita’, del lavoro e della previdenza sociale e per le pari opportunita’, provvede alla
definizione dei criteri per la fruizione dei congedi di cui al presente articolo, all’individuazione delle patologie specifiche ai
sensi del comma 2, nonche’ alla individuazione dei criteri per la verifica periodica relativa alla sussistenza delle condizioni di
grave infermita’ dei soggetti di cui al comma 1.
Art. 5. (Congedi per la formazione).
1. Ferme restando le vigenti disposizioni relative al diritto allo studio di cui all’articolo 10 della legge 20 maggio 1970, n. 300, i
dipendenti di datori di lavoro pubblici o privati, che abbiano almeno cinque anni di anzianita’ di servizio presso la stessa azienda o amministrazione, possono richiedere una sospensione del rapporto di lavoro per congedi per la formazione per un periodo non superiore ad undici mesi, continuativo o frazionato, nell’arco dell’intera vita lavorativa.
2. Per “congedo per la formazione” si intende quello finalizzato al completamento della scuola dell’obbligo, al conseguimento del titolo di studio di secondo grado, del diploma universitario o di laurea, alla partecipazione ad attivita’ formative diverse da quelle poste in essere o finanziate dal datore di lavoro.
3. Durante il periodo di congedo per la formazione il dipendente conserva il posto di lavoro e non ha diritto alla retribuzione. Tale periodo non e’ computabile nell’anzianita’ di servizio e non e’ cumulabile con le ferie, con la malattia e con altri congedi. Una grave e documentata infermita’, individuata sulla base dei criteri stabiliti dal medesimo decreto di cui all’articolo 4, comma 4, intervenuta durante il periodo di congedo, di cui sia data comunicazione scritta al datore di lavoro, da’ luogo ad interruzione
del congedo medesimo.
4. Il datore di lavoro puo’ non accogliere la richiesta di congedo per la formazione ovvero puo’ differirne l’accoglimento nel caso di comprovate esigenze organizzative. I contratti collettivi prevedono le modalita’ di fruizione del congedo stesso, individuano le percentuali massime dei lavoratori che possono avvalersene, disciplinano le ipotesi di differimento o di diniego all’esercizio di tale facolta’ e fissano i termini del preavviso, che comunque non puo’ essere inferiore a trenta giorni.
5. Il lavoratore puo’ procedere al riscatto del periodo di cui al presente articolo, ovvero al versamento dei relativi contributi,
calcolati secondo i criteri della prosecuzione volontaria.
Art. 6. (Congedi per la formazione continua).
1. I lavoratori, occupati e non occupati, hanno diritto di proseguire i percorsi di formazione per tutto l’arco della vita, per accrescere conoscenze e competenze professionali. Lo Stato, le regioni e gli enti locali assicurano un’offerta formativa articolata sul territorio e, ove necessario, integrata, accreditata secondo le disposizioni dell’articolo 17 della legge 24 giugno 1997, n. 196, e successive modificazioni, e del relativo regolamento di attuazione. L’offerta formativa deve consentire percorsi personalizzati, certificati e riconosciuti come crediti formativi in ambito nazionale ed europeo. La formazione puo’ corrispondere ad autonoma scelta del lavoratore ovvero essere predisposta dall’azienda, attraverso i piani formativi aziendali o territoriali concordati tra le parti sociali in coerenza con quanto previsto dal citato articolo 17 della legge n. 196 del 1997, e successive modificazioni.
2. La contrattazione collettiva di categoria, nazionale e decentrata, definisce il monte ore da destinare ai congedi di cui al presente articolo, i criteri per l’individuazione dei lavoratori e le modalita’ di orario e retribuzione connesse alla partecipazione ai
percorsi di formazione.
3. Gli interventi formativi che rientrano nei piani aziendali o territoriali di cui al comma 1 possono essere finanziati attraverso
il fondo interprofessionale per la formazione continua, di cui al regolamento di attuazione del citato articolo 17 della legge n. 196 del 1997.
4. Le regioni possono finanziare progetti di formazione dei lavoratori che, sulla base di accordi contrattuali, prevedano quote
di riduzione dell’orario di lavoro, nonche’ progetti di formazione presentati direttamente dai lavoratori. Per le finalita’ del presente comma e’ riservata una quota, pari a lire 30 miliardi annue, del Fondo per l’occupazione di cui all’articolo 1, comma 7, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236. Il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, provvede annualmente, con proprio decreto, a ripartire fra le regioni la predetta quota, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.
Art. 7. (Anticipazione del trattamento di fine rapporto).
1. Oltre che nelle ipotesi di cui all’articolo 2120, ottavo comma, del codice civile, il trattamento di fine rapporto puo’ essere
anticipato ai fini delle spese da sostenere durante i periodi di fruizione dei congedi di cui all’articolo 7, comma 1, della legge 30
dicembre 1971, n. 1204, come sostituito dall’articolo 3, comma 2, della presente legge, e di cui agli articoli 5 e 6 della presente
legge. L’anticipazione e’ corrisposta unitamente alla retribuzione relativa al mese che precede la data di inizio del congedo. Le
medesime disposizioni si applicano anche alle domande di anticipazioni per indennita’ equipollenti al trattamento di fine
rapporto, comunque denominate, spettanti a lavoratori dipendenti di datori di lavoro pubblici e privati.
2. Gli statuti delle forme pensionistiche complementari di cui al decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124, e successive
modificazioni, possono prevedere la possibilita’ di conseguire, ai sensi dell’articolo 7, comma 4, del citato decreto legislativo n. 124 del 1993, un’anticipazione delle prestazioni per le spese da sostenere durante i periodi di fruizione dei congedi di cui agli
articoli 5 e 6 della presente legge.
3. Con decreto del Ministro per la funzione pubblica, di concerto con i Ministri del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, del lavoro e della previdenza sociale e per la solidarieta’ sociale, sono definite le modalita’ applicative delle disposizioni del comma 1 in riferimento ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni.

Art. 8. (Prolungamento dell’eta’ pensionabile).
1. I soggetti che usufruiscono dei congedi previsti dall’articolo 5, comma 1, possono, a richiesta, prolungare il rapporto di lavoro di un periodo corrispondente, anche in deroga alle disposizioni concernenti l’eta’ di pensionamento obbligatoria. La richiesta deve essere comunicata al datore di lavoro con un preavviso non inferiore a sei mesi rispetto alla data prevista per il pensionamento.
Capo III FLESSIBILITA’ DI ORARIO
Art. 9. (Misure a sostegno della flessibilita’ di orario).
1. Al fine di promuovere e incentivare forme di articolazione della prestazione lavorativa volte a conciliare tempo di vita e di lavoro, nell’ambito del Fondo per l’occupazione di cui all’articolo 1, comma 7, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236, e’ destinata una quota fino a lire 40 miliardi annue a decorrere dall’anno 2000, al fine di erogare contributi, di cui almeno il 50 per cento destinato ad imprese fino a cinquanta dipendenti, in favore di aziende che applichino accordi contrattuali che prevedono azioni positive per la flessibilita’, ed in particolare:
a) progetti articolati per consentire alla lavoratrice madre o al lavoratore padre, anche quando uno dei due sia lavoratore autonomo, ovvero quando abbiano in affidamento o in adozione un minore, di usufruire di particolari forme di flessibilita’ degli orari e dell’organizzazione del lavoro, tra cui part time reversibile, telelavoro e lavoro a domicilio, orario flessibile in entrata o in
uscita, banca delle ore, flessibilita’ sui turni, orario concentrato, con priorita’ per i genitori che abbiano bambini fino ad otto anni di eta’ o fino a dodici anni, in caso di affidamento o di adozione;
b) programmi di formazione per il reinserimento dei lavoratori dopo il periodo di congedo;
c) progetti che consentano la sostituzione del titolare di impresa o del lavoratore autonomo, che benefici del periodo di astensione obbligatoria o dei congedi parentali, con altro imprenditore o lavoratore autonomo. 2. Con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con i Ministri per la solidarieta’ sociale e per le pari opportunita’, sono definiti i criteri e le modalita’ per la concessione dei contributi di cui al comma 1.
Capo IV ULTERIORI DISPOSIZIONI A SOSTEGNO DELLA MATERNITA’ E DELLA PATERNITA’
Art. 10. (Sostituzione di lavoratori in astensione).
1. L’assunzione di lavoratori a tempo determinato in sostituzione di lavoratori in astensione obbligatoria o facoltativa dal lavoro ai sensi della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, come modificata dalla presente legge, puo’ avvenire anche con anticipo fino ad un mese rispetto al periodo di inizio dell’astensione, salvo periodi superiori previsti dalla contrattazione collettiva.
2. Nelle aziende con meno di venti dipendenti, per i contributi a carico del datore di lavoro che assume lavoratori con contratto a tempo determinato in sostituzione di lavoratori in astensione ai sensi degli articoli 4, 5 e 7 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, come modificati dalla presente legge, e’ concesso uno sgravio contributivo del 50 per cento. Le disposizioni del presente comma trovano applicazione fino al compimento di un anno di eta’ del figlio della lavoratrice o del lavoratore in astensione e per un anno dall’accoglienza del minore adottato o in affidamento.
3. Nelle aziende in cui operano lavoratrici autonome di cui alla legge 29 dicembre 1987, n. 546, e’ possibile procedere, in caso di maternita’ delle suddette lavoratrici, e comunque entro il primo anno di eta’ del bambino o nel primo anno di accoglienza del minore adottato o in affidamento, all’assunzione di un lavoratore a tempo determinato, per un periodo massimo di dodici mesi, con le medesime agevolazioni di cui al comma 2.
Art. 11. (Parti prematuri).
1. All’articolo 4 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, sono aggiunti, in fine, i seguenti commi:
“Qualora il parto avvenga in data anticipata rispetto a quella presunta, i giorni non goduti di astensione obbligatoria prima del
parto vengono aggiunti al periodo di astensione obbligatoria dopo il parto. La lavoratrice e’ tenuta a presentare, entro trenta giorni, il certificato attestante la data del parto”.
Art. 12. (Flessibilita’ dell’astensione obbligatoria).
1. Dopo l’articolo 4 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, e’ inserito il seguente:
“Art. 4-bis. – 1. Ferma restando la durata complessiva dell’astensione dal lavoro, le lavoratrici hanno la facolta’ di astenersi dal lavoro a partire dal mese precedente la data presunta del parto e nei quattro mesi successivi al parto, a condizione che il medico specialista del Servizio sanitario nazionale o con esso convenzionato e il medico competente ai fini della prevenzione e
tutela della salute nei luoghi di lavoro attestino che tale opzione non arrechi pregiudizio alla salute della gestante e del nascituro”.
2. Il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con i Ministri della sanita’ e per la solidarieta’ sociale, sentite le
parti sociali, definisce, con proprio decreto da emanare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, l’elenco dei lavori ai quali non si applicano le disposizioni dell’articolo 4-bis della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, introdotto dal comma 1 del presente articolo.
3. Il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con i Ministri della sanita’ e per la solidarieta’ sociale, provvede,
entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, ad aggiornare l’elenco dei lavori pericolosi, faticosi ed insalubri
di cui all’articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica 25 novembre 1976, n. 1026.
Art. 13. (Astensione dal lavoro del padre lavoratore).
1. Dopo l’articolo 6 della legge 9 dicembre 1977, n. 903, sono inseriti i seguenti:
“Art. 6-bis. – 1. Il padre lavoratore ha diritto di astenersi dal lavoro nei primi tre mesi dalla nascita del figlio, in caso di morte
o di grave infermita’ della madre ovvero di abbandono, nonche’ in caso di affidamento esclusivo del bambino al padre.
2. Il padre lavoratore che intenda avvalersi del diritto di cui al comma 1 presenta al datore di lavoro la certificazione relativa alle
condizioni ivi previste. In caso di abbandono, il padre lavoratore ne rende dichiarazione ai sensi dell’articolo 4 della legge 4 gennaio 1968, n. 15.
3. Si applicano al padre lavoratore le disposizioni di cui agli articoli 6 e 15, commi 1 e 5, della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, e successive modificazioni.
4. Al padre lavoratore si applicano altresi’ le disposizioni di cui all’articolo 2 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, e successive modificazioni, per il periodo di astensione dal lavoro di cui al comma 1 del presente articolo e fino al compimento di un anno di eta’ del bambino.
Art. 6-ter. – 1. I periodi di riposo di cui all’articolo 10 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, e successive modificazioni, e i
relativi trattamenti economici sono riconosciuti al padre lavoratore:
a) nel caso in cui i figli siano affidati al solo padre;
b) in alternativa alla madre lavoratrice dipendente che non se ne avvalga;
c) nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente”.
Art. 14. (Estensione di norme a specifiche categorie di lavoratrici madri).
1. I benefici previsti dal primo periodo del comma 1 dell’articolo 13 della legge 7 agosto 1990, n. 232, sono estesi, dalla data di entrata in vigore della presente legge, anche alle lavoratrici madri appartenenti ai corpi di polizia municipale.
Art. 15. (Testo unico).
1. Al fine di conferire organicita’ e sistematicita’ alle norme in materia di tutela e sostegno della maternita’ e della paternita’,
entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Governo e’ delegato ad emanare un decreto legislativo
recante il testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia, nel rispetto dei seguenti princi’pi e criteri direttivi:
a) puntuale individuazione del testo vigente delle norme;
b) esplicita indicazione delle norme abrogate, anche implicitamente, da successive disposizioni;
c) coordinamento formale del testo delle disposizioni vigenti, apportando, nei limiti di detto coordinamento, le modifiche
necessarie per garantire la coerenza logica e sistematica della normativa, anche al fine di adeguare e semplificare il linguaggio
normativo;
d) esplicita indicazione delle disposizioni, non inserite nel testo unico, che restano comunque in vigore;
e) esplicita abrogazione di tutte le rimanenti disposizioni, non richiamate, con espressa indicazione delle stesse in apposito
allegato al testo unico;
f) esplicita abrogazione delle norme secondarie incompatibili con le disposizioni legislative raccolte nel testo unico.
2. Lo schema del decreto legislativo di cui al comma 1 e’ deliberato dal Consiglio dei ministri ed e’ trasmesso, con apposita relazione cui e’ allegato il parere del Consiglio di Stato, alle competenti Commissioni parlamentari permanenti, che esprimono il parere entro quarantacinque giorni dall’assegnazione.
3. Entro un anno dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo di cui al comma 1 possono essere emanate, nel rispetto
dei princi’pi e criteri direttivi di cui al medesimo comma 1 e con le modalita’ di cui al comma 2, disposizioni correttive del testo unico.
Art. 16. (Statistiche ufficiali sui tempi di vita).
1. L’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) assicura un flusso informativo quinquennale sull’organizzazione dei tempi di vita della
popolazione attraverso la rilevazione sull’uso del tempo, disaggregando le informazioni per sesso e per eta’.
Art. 17. (Disposizioni diverse).
1. Nei casi di astensione dal lavoro disciplinati dalla presente legge, la lavoratrice e il lavoratore hanno diritto alla conservazione del posto di lavoro e, salvo che espressamente vi rinuncino, al rientro nella stessa unita’ produttiva ove erano occupati al momento della richiesta di astensione o di congedo o in altra ubicata nel medesimo comune; hanno altresi’ diritto di essere
adibiti alle mansioni da ultimo svolte o a mansioni equivalenti.
2. All’articolo 2 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, e’ aggiunto, in fine, il seguente comma:
“Al termine del periodo di interdizione dal lavoro previsto dall’articolo 4 della presente legge le lavoratrici hanno diritto, salvo che espressamente vi rinuncino, di rientrare nella stessa unita’ produttiva ove erano occupate all’inizio del periodo di gestazione o in altra ubicata nel medesimo comune, e di permanervi fino al compimento di un anno di eta’ del bambino; hanno altresi’
diritto di essere adibite alle mansioni da ultimo svolte o a mansioni equivalenti”.
3. I contratti collettivi di lavoro possono prevedere condizioni di maggior favore rispetto a quelle previste dalla presente legge.
4. Sono abrogate le disposizioni legislative incompatibili con la presente legge ed in particolare l’articolo 7 della legge 9 dicembre 1977, n. 903.
Art. 18. (Disposizioni in materia di recesso).
1. Il licenziamento causato dalla domanda o dalla fruizione del congedo di cui agli articoli 3, 4, 5, 6 e 13 della presente legge e’
nullo.
2. La richiesta di dimissioni presentata dalla lavoratrice o dal lavoratore durante il primo anno di vita del bambino o nel primo anno di accoglienza del minore adottato o in affidamento deve essere convalidata dal Servizio ispezione della direzione provinciale del lavoro.
Capo V MODIFICHE ALLA LEGGE 5 FEBBRAIO 1992, N. 104
Art. 19. (Permessi per l’assistenza a portatori di handicap).
1. All’articolo 33 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 3, dopo le parole: “permesso mensile” sono inserite le seguenti: “coperti da contribuzione figurativa”;
b) al comma 5, le parole: “, con lui convivente,” sono soppresse;
c) al comma 6, dopo le parole: “puo’ usufruire” e’ inserita la seguente: “alternativamente”.
Art. 20. (Estensione delle agevolazioni per l’assistenza a portatori di handicap).
1. Le disposizioni dell’articolo 33 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, come modificato dall’articolo 19 della presente legge, si
applicano anche qualora l’altro genitore non ne abbia diritto nonche’ ai genitori ed ai familiari lavoratori, con rapporto di lavoro
pubblico o privato, che assistono con continuita’ e in via esclusiva un parente o un affine entro il terzo grado portatore di handicap, ancorche’ non convivente.
Capo VI NORME FINANZIARIE
Art. 21. (Copertura finanziaria).
1. All’onere derivante dall’attuazione delle disposizioni degli articoli da 3 a 20, esclusi gli articoli 6 e 9, della presente legge,
valutato in lire 298 miliardi annue a decorrere dall’anno 2000, si provvede, quanto a lire 273 miliardi annue a decorrere dall’anno 2000, mediante corrispondente riduzione dell’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 3 del decreto-legge 20 gennaio 1998, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 marzo 1998, n. 52, concernente il Fondo per l’occupazione; quanto a lire 25 miliardi annue a decorrere dall’anno 2000, mediante corrispondente riduzione dell’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 1 della legge 28 agosto 1997, n. 285.
2. Il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica e’ autorizzato ad apportare, con propri decreti, le
occorrenti variazioni di bilancio.
Capo VII TEMPI DELLE CITTA’
Art. 22. (Compiti delle regioni).
1. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge le regioni definiscono, con proprie leggi, ai sensi
dell’articolo 36, comma 3, della legge 8 giugno 1990, n. 142, e successive modificazioni, qualora non vi abbiano gia’ provveduto, norme per il coordinamento da parte dei comuni degli orari degli esercizi commerciali, dei servizi pubblici e degli uffici periferici delle amministrazioni pubbliche, nonche’ per la promozione dell’uso del tempo per fini di solidarieta’ sociale, secondo i principi del presente capo.
2. Le regioni prevedono incentivi finanziari per i comuni, anche attraverso l’utilizzo delle risorse del Fondo di cui all’articolo 28,
ai fini della predisposizione e dell’attuazione dei piani territoriali degli orari di cui all’articolo 24 e della costituzione delle banche dei tempi di cui all’articolo 27.
3. Le regioni possono istituire comitati tecnici, composti da esperti in materia di progettazione urbana, di analisi sociale, di
comunicazione sociale e di gestione organizzativa, con compiti consultivi in ordine al coordinamento degli orari delle citta’ e per
la valutazione degli effetti sulle comunita’ locali dei piani territoriali degli orari.
4. Nell’ambito delle proprie competenze in materia di formazione professionale, le regioni promuovono corsi di qualificazione e
riqualificazione del personale impiegato nella progettazione dei piani territoriali degli orari e nei progetti di riorganizzazione dei
servizi.
5. Le leggi regionali di cui al comma 1 indicano:
a) criteri generali di amministrazione e coordinamento degli orari di apertura al pubblico dei servizi pubblici e privati, degli uffici
della pubblica amministrazione, dei pubblici esercizi commerciali e turistici, delle attivita’ culturali e dello spettacolo, dei
trasporti;
b) i criteri per l’adozione dei piani territoriali degli orari;
c) criteri e modalita’ per la concessione ai comuni di finanziamenti per l’adozione dei piani territoriali degli orari e per la
costituzione di banche dei tempi, con priorita’ per le iniziative congiunte dei comuni con popolazione non superiore a 30.000 abitanti.
6. Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano provvedono secondo le rispettive competenze.

Art. 23. (Compiti dei comuni).
1. I comuni con popolazione superiore a 30.000 abitanti attuano, singolarmente o in forma associata, le disposizioni dell’articolo 36, comma 3, della legge 8 giugno 1990, n. 142, e successive modificazioni, secondo le modalita’ stabilite dal presente capo, nei tempi indicati dalle leggi regionali di cui all’articolo 22, comma 1, e comunque non oltre un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge.
2. In caso di inadempimento dell’obbligo di cui al comma 1, il presidente della giunta regionale nomina un commissario ad acta.
3. I comuni con popolazione non superiore a 30.000 abitanti possono attuare le disposizioni del presente capo in forma associata.
Art. 24. (Piano territoriale degli orari).
1. Il piano territoriale degli orari, di seguito denominato “piano”, realizza le finalita’ di cui all’articolo 1, comma 1, lettera c), ed
e’ strumento unitario per finalita’ ed indirizzi, articolato in progetti, anche sperimentali, relativi al funzionamento dei diversi sistemi orari dei servizi urbani e alla loro graduale armonizzazione e coordinamento.
2. I comuni con popolazione superiore a 30.000 abitanti sono tenuti ad individuare un responsabile cui e’ assegnata la competenza in materia di tempi ed orari e che partecipa alla conferenza dei dirigenti, ai sensi della legge 8 giugno 1990, n. 142, e successive modificazioni.
3. I comuni con popolazione non superiore a 30.000 abitanti possono istituire l’ufficio di cui al comma 2 in forma associata.
4. Il sindaco elabora le linee guida del piano. A tale fine attua forme di consultazione con le amministrazioni pubbliche, le parti
sociali, nonche’ le associazioni previste dall’articolo 6 della legge 8 giugno 1990, n. 142, e successive modificazioni, e le associazioni delle famiglie.
5. Nell’elaborazione del piano si tiene conto degli effetti sul traffico, sull’inquinamento e sulla qualita’ della vita cittadina degli orari di lavoro pubblici e privati, degli orari di apertura al pubblico dei servizi pubblici e privati, degli uffici periferici delle amministrazioni pubbliche, delle attivita’ commerciali, ferme restando le disposizioni degli articoli da 11 a 13 del decreto
legislativo 31 marzo 1998, n. 114, nonche’ delle istituzioni formative, culturali e del tempo libero.
6. Il piano e’ approvato dal consiglio comunale su proposta del sindaco ed e’ vincolante per l’amministrazione comunale, che deve adeguare l’azione dei singoli assessorati alle scelte in esso contenute. Il piano e’ attuato con ordinanze del sindaco.

Art. 25. (Tavolo di concertazione).
1. Per l’attuazione e la verifica dei progetti contenuti nel piano di cui all’articolo 24, il sindaco istituisce un tavolo di concertazione, cui partecipano:
a) il sindaco stesso o, per suo incarico, il responsabile di cui all’articolo 24, comma 2;
b) il prefetto o un suo rappresentante;
c) il presidente della provincia o un suo rappresentante;
d) i presidenti delle comunita’ montane o loro rappresentanti;
e) un dirigente per ciascuna delle pubbliche amministrazioni non statali coinvolte nel piano;
f) rappresentanti sindacali degli imprenditori della grande, media e piccola impresa, del commercio, dei servizi, dell’artigianato e
dell’agricoltura;
g) rappresentanti sindacali dei lavoratori;
h) il provveditore agli studi ed i rappresentanti delle universita’ presenti nel territorio;
i) i presidenti delle aziende dei trasporti urbani ed extraurbani, nonche’ i rappresentanti delle aziende ferroviarie.
2. Per l’attuazione del piano di cui all’articolo 24, il sindaco promuove accordi con i soggetti pubblici e privati di cui al comma 1.
3. In caso di emergenze o di straordinarie necessita’ dell’utenza o di gravi problemi connessi al traffico e all’inquinamento, il sindaco puo’ emettere ordinanze che prevedano modificazioni degli orari.
4. Le amministrazioni pubbliche, anche territoriali, sono tenute ad adeguare gli orari di funzionamento degli uffici alle ordinanze di cui al comma 3.
5. I comuni capoluogo di provincia sono tenuti a concertare con i comuni limitrofi, attraverso la conferenza dei sindaci, la
riorganizzazione territoriale degli orari. Alla conferenza partecipa un rappresentante del presidente della provincia.
Art. 26. (Orari della pubblica amministrazione).
1. Le articolazioni e le scansioni degli orari di apertura al pubblico dei servizi della pubblica amministrazione devono tenere
conto delle esigenze dei cittadini che risiedono, lavorano ed utilizzano il territorio di riferimento.
2. Il piano di cui all’articolo 24, ai sensi del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni, puo’ prevedere modalita’ ed articolazioni differenziate degli orari di apertura al pubblico dei servizi della pubblica amministrazione.
3. Le pubbliche amministrazioni, attraverso l’informatizzazione deirelativi servizi, possono garantire prestazioni di informazione anche durante gli orari di chiusura dei servizi medesimi e, attraverso la semplificazione delle procedure, possono consentire agli utenti tempi di attesa piu’ brevi e percorsi piu’ semplici per l’accesso ai servizi.
Art. 27. (Banche dei tempi).
1. Per favorire lo scambio di servizi di vicinato, per facilitare l’utilizzo dei servizi della citta’ e il rapporto con le pubbliche
amministrazioni, per favorire l’estensione della solidarieta’ nelle comunita’ locali e per incentivare le iniziative di singoli e gruppi
di cittadini, associazioni, organizzazioni ed enti che intendano scambiare parte del proprio tempo per impieghi di reciproca
solidarieta’ e interesse, gli enti locali possono sostenere e promuovere la costituzione di associazioni denominate “banche dei
tempi”.
2. Gli enti locali, per favorire e sostenere le banche dei tempi, possono disporre a loro favore l’utilizzo di locali e di servizi e
organizzare attivita’ di promozione, formazione e informazione. Possono altresi’ aderire alle banche dei tempi e stipulare con esse accordi che prevedano scambi di tempo da destinare a prestazioni di mutuo aiuto a favore di singoli cittadini o della comunita’ locale. Tali prestazioni devono essere compatibili con gli scopi statutari delle banche dei tempi e non devono costituire modalita’ di esercizio delle attivita’ istituzionali degli enti locali.
Art. 28. (Fondo per l’armonizzazione dei tempi delle citta’).
1. Nell’elaborare le linee guida del piano di cui all’articolo 24, il sindaco prevede misure per l’armonizzazione degli orari che
contribuiscano, in linea con le politiche e le misure nazionali, alla riduzione delle emissioni di gas inquinanti nel settore dei
trasporti. Dopo l’approvazione da parte del consiglio comunale, i piani sono comunicati alle regioni, che li trasmettono al Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) indicandone, ai soli fini del presente articolo, l’ordine di priorita’.
2. Per le finalita’ del presente articolo e’ istituito un Fondo per l’armonizzazione dei tempi delle citta’, nel limite massimo di lire
15 miliardi annue a decorrere dall’anno 2001. Alla ripartizione delle predette risorse provvede il CIPE, sentita la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281.
3. Le regioni iscrivono le somme loro attribuite in un apposito capitolo di bilancio, nel quale confluiscono altresi’ eventuali risorse proprie, da utilizzare per spese destinate ad agevolare l’attuazione dei progetti inclusi nel piano di cui all’articolo 24 e
degli interventi di cui all’articolo 27.
4. I contributi di cui al comma 3 sono concessi prioritariamente per:
a) associazioni di comuni;
b) progetti presentati da comuni che abbiano attivato forme di coordinamento e cooperazione con altri enti locali per l’attuazione di specifici piani di armonizzazione degli orari dei servizi con vasti bacini di utenza;
c) interventi attuativi degli accordi di cui all’articolo 25, comma 2.
5. La Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e’ convocata ogni anno, entro il
mese di febbraio, per l’esame dei risultati conseguiti attraverso l’impiego delle risorse del Fondo di cui al comma 2 e per la
definizione delle linee di intervento futuro. Alle relative riunioni sono invitati i Ministri del lavoro e della previdenza sociale, per
la solidarieta’ sociale, per la funzione pubblica, dei trasporti e della navigazione e dell’ambiente, il presidente della societa’
Ferrovie dello Stato spa, nonche’ i rappresentanti delle associazioni ambientaliste e del volontariato, delle organizzazioni sindacali e di categoria.
6. Il Governo, entro il mese di luglio di ogni anno e sulla base dei lavori della Conferenza di cui al comma 5, presenta al Parlamento una relazione sui progetti di riorganizzazione dei tempi e degli orari delle citta’.
7. All’onere derivante dall’istituzione del Fondo di cui al comma 2 si provvede mediante utilizzazione delle risorse di cui all’articolo 8, comma 10, lettera f), della legge 23 dicembre 1998, n. 448. La presente legge, munita del sigillo dello Stato, sara’ inserita nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. E’ fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato.
La presente legge munita del Sigillo dello Stato, sarà inserita nella Raccolta Ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. E’ fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato.
Data a Roma, addi’ 8 marzo 2000
CIAMPI
D’Alema, Presidente del Consiglio dei Ministri Turco, Ministro per la solidarieta’ sociale
Visto, il Guardasigilli: Diliberto

LAVORI PREPARATORI
Camera dei deputati (atto n. 4624):
Presentato dal Presidente del Consiglio dei Ministri (Prodi) e dal Ministro per la solidarieta’ sociale (Turco) il 3 marzo 1998.
Assegnato alla XI commissione (Lavoro), in sede referente, il 31 marzo 1998, con pareri delle commissioni I, II, V, VI, X e XII.
Esaminato dalla XI commissione il 25 giugno; 24 e 30 settembre 1997; 15, 22 e 28 aprile; 27 maggio; 2, 24 e 30 giugno; 17 e 24 settembre 1998; 25 febbraio; 3, 4, 11 e 16 marzo; 8 e 14 aprile; 6, 12 e 27 maggio; 2 giugno 1999.
Relazione scritta annunciata il 3 giugno 1999 (atti numeri 259, 599, 734, 833, 896, 1170, 1363, 1938-ter, 2207-bis, 2208, 2696, 2838, 3385, 3685, 3871, 4624 e 5287/A – relatore on. Cordoni).
Esaminato in aula il 3 giugno; 6 e 12 ottobre 1999 e approvato il 13 ottobre 1999 in un testo unificato con numeri 259 (Pozza ed altri); 599 (Cordoni ed altri); 734 (Martinat ed altri); 833 (Trantino); 896 (Nardini ed altri); 1170 (Di Capua ed altri); 1363 (Gambale); 1938-ter (Mussi ed altri); 2207-bis (Cordoni ed altri); 2208 (Cordoni ed altri); 2696 (Schmid ed altri); 2838 (Barral e Balocchi); 3385 (Saonara); 3685 (Bergamo); 3871 (Prestigiacomo ed altri) e 5287 (Nardini ed altri).
Senato della Repubblica (atto n. 4275):
Assegnato alla 11a commissione (Lavoro), in sede referente, il 21 ottobre 1999, con pareri delle commissioni 1a, 2a, 5a, 7a, 8a, 10a, 12a e 13a, della commissione speciale in materia di infanzia (in data 21 ottobre 1999) e della commissione parlamentare per le questioni regionali.
Esaminato dalla 11a commissione il 23, 24, 25 e 30 novembre; 1o dicembre 1999.
Relazione scritta annunciata il 9 dicembre 1999 (atti numeri 4275, 115, 192, 345, 1000 e 1179/A – relatore sen. Ornella Piloni).
Esaminato in aula il 16 dicembre 1999; 18, 19 e 20 gennaio 2000 e approvato, con modificazioni, il 25 gennaio 2000.
Camera dei deputati (atto numeri 259, 599, 734, 833, 896, 1170, 1363, 1938-ter, 2207-bis, 2208, 2696, 2838, 3385,
3685, 3871, 4624 e 5287/B):
Assegnato alla XI commissione (Lavoro), in sede referente, il 28 gennaio 2000, con parere della commissione V.
Esaminato dalla XI commissione il 2 febbraio 2000.
Esaminato in aula il 15 febbraio 2000 e approvato il 22 febbraio 2000.

NOTE
Avvertenza:
Il testo delle note qui pubblicato e’ stato redatto dall’amministrazione competente per materia, ai sensi dell’art. 10, commi 2 e 3, del testo unico delle disposizioni sulla promulgazione delle leggi, sull’emanazione dei decreti del Presidente della Repubblica
e sulle pubblicazioni ufficiali della Repubblica italiana, approvato con D.P.R. 28 dicembre 1985, n. 1092, al solo fine di facilitare la lettura delle disposizioni di legge modificate o alle quali e’ operato il rinvio. Restano invariati il valore e l’efficacia degli atti legislativi qui trascritti.
Note all’art. 3:
– La legge 30 dicembre 1971, n. 1204, recante: “Tutela delle lavoratrici madri” e’ pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 18 gennaio 1972, n. 14. Il testo dell’art. 1, come modificato dalla legge qui pubblicata, e’ il seguente: “Art. 1. – Le disposizioni del presente titolo si applicano alle lavoratrici, comprese le apprendiste, che prestano la loro opera alle dipendenze di privati datori di
lavoro, nonche’ alle dipendenti dalle amministrazioni dello Stato, anche ad orientamento autonomo, dalle regioni, dalle province, dai comuni, dagli altri enti pubblici e dalle societa’ cooperative, anche se socie di queste ultime.
Alle lavoratrici a domicilio si applicano le norme del presente titolo di cui agli articoli 2, 4, 6 e 9.
Alle lavoratrici addette ai servizi domestici e familiari si applicano le norme del presente titolo di cui agli articoli 4, 5, 6, 8 e 9.
Il diritto di astenersi dal lavoro di cui all’art. 7, ed il relativo trattamento economico, sono riconosciuti anche se l’altro genitore non ne ha diritto. Le disposizioni di cui al comma 1 dell’art. 7 e al comma 2 dell’art. 15 sono estese alle lavoratrici di cui alla legge 29 dicembre 1987, n. 546, madri di bambini nati a decorrere dal 1o gennaio 2000. Alle predette lavoratrici i diritti previsti dal comma 1 dell’art. 7 e dal comma 2 dell’art. 15 spettano limitatamente ad un periodo di tre mesi, entro il primo anno di vita del bambino.
Sono fatte salve, in ogni caso, le condizioni di maggior favore stabilite da leggi, regolamenti, contratti, e da ogni altra disposizione”.
– La legge 29 dicembre 1987, n. 546 recante:
“Indennita’ di maternita’ per le lavoratrici autonome”, e’ pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 7 gennaio 1988, n. 4.
– La legge 4 gennaio 1968, n. 15, recante: “Norme sulla documentazione amministrativa e sulla legalizzazione e autenticazione di firme”, e’ pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 27 gennaio 1968, n. 23. Il testo dell’art. 4 e’ il seguente: “Art. 4 (Dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorieta’). – L’atto di notorieta’ concernente fatti, stati o qualita’ personali che siano a
diretta conoscenza dell’interessato e’ sostituito da dichiarazione resa e sottoscritta dal medesimo dinanzi al funzionario competente a ricevere la documentazione, o dinanzi ad un notaio, cancelliere, segretario comunale, o altro funzionario incaricato dal sindaco, il quale provvede alla autenticazione della sottoscrizione con la osservanza delle modalita’ di cui all’art. 20.
Quando la dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorieta’ e’ resa ad imprese di gestione di servizi pubblici, la sottoscrizione e’ autenticata, con l’osservanza delle modalita’ di cui all’art. 20, dal funzionario incaricato dal rappresentante legale dell’impresa stessa”.
– Il testo dell’art. 10 della citata legge n. 1204/1971, come modificato dalla legge qui pubblicata, e’ il seguente: “Art. 10. – Il datore di lavoro deve consentire alle lavoratrici madri, durante il primo anno di vita del bambino, due periodi di riposo, anche cumulabili durante la giornata. Il riposo e’ uno solo quando l’orario giornaliero di lavoro e’ inferiore a sei ore.
I periodi di riposo di cui al precedente comma hanno la durata di un’ora ciascuno e sono considerati ore lavorative agli effetti della durata e della retribuzione del lavoro.
Essi comportano il diritto della donna ad uscire dall’azienda.
I periodi di riposo sono di mezz’ora ciascuno, e in tal caso non comportano il diritto ad uscire dall’azienda, quando la lavoratrice voglia usufruire della camera di allattamento o dell’asilo nido, istituiti dal datore di lavoro nelle dipendenze dei locali di lavoro.
I riposi di cui ai precedenti commi sono indipendenti da quelli previsti dagli articoli 18 e 19 della legge 26 aprile 1934, n. 653, sulla tutela del lavoro delle donne.
Ai periodi di riposo di cui al presente articolo si applicano le disposizioni in materia di contribuzione figurativa, nonche’ di riscatto ovvero di versamento dei relativi contributi previsti dal comma 2, lettera b), dell’art. 15.
In caso di parto plurimo, i periodi di riposo sono raddoppiati e le ore aggiuntive rispetto a quelle previste dal primo comma del presente articolo possono essere utilizzate anche dal padre”.
– La legge 12 agosto 1962, n. 1338, recante:
“Disposizioni per il miglioramento dei trattamenti di pensione dell’assicurazione obbligatoria per l’invalidita’, la vecchiaia e i superstiti” e’ pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell’11 settembre 1962, n. 229.
Il testo dell’art. 13 e’ il seguente: “Art. 13. – Ferme restando le disposizioni penali, il datore di lavoro che abbia omesso di versare contributi per l’assicurazione obbligatoria invalidita’, vecchiaia e superstiti e che non possa piu’ versarli per sopravvenuta prescrizione ai sensi dell’art. 55 del regio decreto-legge 4 ottobre 1935, n. 1827, puo’ chiedere all’Istituto nazionale della previdenza sociale di costituire, nei casi previsti dal successivo quarto comma, una rendita vitalizia riversibile pari alla
pensione o quota di pensione adeguata dell’assicurazione obbligatoria che spetterrebbe al lavoratore dipendente in relazione ai contributi omessi.
La corrispondente riserva matematica e’ devoluta, per le rispettive quote di pertinenza, all’assicurazione obbligatoria e al Fondo di adeguamento, dando luogo all’attribuzione a favore dell’interessato di contributi base corrispondenti, per valore e numero, a quelli considerati ai fini del calcolo della rendita.
La rendita integra con effetto immediato la pensione gia’ in essere; in caso contrario i contributi di cui al comma precedente sono valutati a tutti gli effetti ai fini dell’assicurazione obbligatoria per l’invalidita’, la vecchiaia e i superstiti.
Il datore di lavoro e’ ammesso ad esercitare la facolta’ concessagli dal presente articolo su esibizione all’Istituto nazionale della previdenza sociale di documenti di data certa, dai quali possano evincersi la effettiva esistenza e la durata del rapporto di lavoro, nonche’ la misura della retribuzione corrisposta al lavoratore interessato.
Il lavoratore, quando non possa ottenere dal datore di lavoro la costituzione della rendita a norma del presente articolo, puo’ egli stesso sostituirsi al datore di lavoro, salvo il diritto al risarcimento del danno, a condizione che fornisca all’Istituto nazionale della previdenza sociale le prove del rapporto di lavoro e della retribuzione indicate nel comma precedente.
Per la costituzione della rendita’, il datore di lavoro, ovvero il lavoratore allorche’ si verifichi l’ipotesi prevista al quarto comma, deve versare all’Istituto nazionale della previdenza sociale la riserva matematica calcolata in base alle tariffe che sarano all’uopo determinate e variate, quando occorra, con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, sentito il Consiglio di amministrazione dell’Istituto nazionale della previdenza sociale”.
Nota all’art. 5:
– La legge 20 maggio 1970, n. 300, recante: “Norme sulla tutela della liberta’ e dignita’ dei lavoratori, della liberta’ sindacale e dell’attivita’ sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento” e’ pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 27 maggio 1970, n. 131. Il testo dell’art. 10 e’ il seguente: “Art. 10 (Lavoratori studenti). – I lavoratori studenti, iscritti e fequentanti corsi regolari di studio in scuole di istruzione primaria, secondaria e di qualificazione professionale, statali, pareggiate o legalmente riconosciute o comunque abilitate al rilascio di titoli di studio legali, hanno diritto a turni di lavoro che agevolino la frequenza ai corsi e la preparazione agli esami e non sono obbligati a prestazioni di lavoro straordinario o durante i riposi settimanali.
I lavoratori studenti, compresi quelli universitari, che devono sostenere prove di esame, hanno diritto a fruire di permessi giornalieri retribuiti. Il datore di lavoro potra’ richiedere la produzione delle certificazioni necessarie all’esercizio dei diritti
di cui al primo e secondo comma”.
Note all’art. 6:
– La legge 24 giugno 1997, n. 196, pubblicata nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale del 4 luglio 1997, n. 154, reca: “Norme in materia di promozione dell’occupazione”. Il testo dell’art. 17 e’ il seguente:
“Art. 17 (Riordino della formazione professionale). – 1. Allo scopo di assicurare ai lavoratori adeguate opportunita’ di formazione ed elevazione professionale anche attraverso l’integrazione del sistema di formazione professionale con il sistema scolastico e con il mondo del lavoro e un piu’ razionale utilizzo delle risorse vigenti, anche comunitarie, destinate alla formazione professionale e al fine di realizzare la semplificazione normativa e di pervenire ad una disciplina organica della materia, anche
con riferimento ai profili formativi di speciali rapporti di lavoro quali l’apprendistato e il contratto di formazione e lavoro, il presente articolo definisce i seguenti princi’pi e criteri generali, nel rispetto dei quali sono adottate norme di natura regolamentare costituenti la prima fase di un piu’ generale, ampio processo di riforma della disciplina in materia:
a) valorizzazione della formazione professionale quale strumento per migliorare la qualita’ dell’offerta di lavoro, elevare le capacita’ competitive del sistema produttivo, in particolare con riferimento alle medie e piccole imprese e alle imprese artigiane e incrementare l’occupazione, attraverso attivita’ di formazione professionale caratterizzate da moduli flessibili, adeguati
alle diverse realta’ produttive locali nonche’ di promozione e aggiornamento professionale degli imprenditori, dei lavoratori autonomi, dei soci di cooperative, secondo modalita’ adeguate alle loro rispettive specifiche esigenze;
b) attuazione dei diversi interventi formativi anche attraverso il ricorso generalizzato a stages, in grado di realizzare il raccordo tra formazione e lavoro e finalizzati a valorizzare pienamente il momento dell’orientamento nonche’ a favorire un primo contatto dei giovani con le imprese;
c) svolgimento delle attivita’ di formazione professionale da parte delle regioni e/o delle province anche in convenzione con istituti di istruzione secondaria e con enti privati aventi requisiti predeterminati;
d) destinazione progressiva delle risorse di cui al comma 5 dell’art. 9 del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236, agli interventi di formazione dei lavoratori e degli altri soggetti di cui alla lettera a) nell’ambito di piani formativi aziendali o territoriali concordati tra le parti sociali, con specifico riferimento alla formazione di lavoratori in costanza di rapporto di lavoro, di lavoratori collocati in mobilita’, di lavoratori disoccupati per i quali l’attivita’ e’ propedeutica all’assunzione; le risorse di cui alla presente lettera confluiranno in uno o piu’ fondi nazionali, articolati
regionalmente e territorialmente aventi configurazione giuridica di tipo privatistico e gestiti con partecipazione delle parti sociali; dovranno altresi’ essere definiti i meccanismi di integrazione del fondo di rotazione;
e) attribuzione al Ministro del lavoro e della previdenza sociale di funzioni propositive ai fini della definizione da parte del comitato di cui all’art. 5, comma 5, dei criteri e delle modalita’ di certificazione delle competenze acquisite con la formazione professionale;
f) adozione di misure idonee a favorire, secondo piani di intervento predisposti dalle regioni, la formazione e la mobilita’ interna o esterna al settore degli addetti alla formazione professionale nonche’ la ristrutturazione degli enti di formazione e la
trasformazione dei centri in agenzie formative al fine di migliorare l’offerta formativa e facilitare l’integrazione dei sistemi; le risorse finanziarie da destinare a tali interventi saranno individuate con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale nell’ambito delle disponibilita’, da preordinarsi allo scopo, esistenti nel Fondo di cui all’art. 1, comma 7, del decreto-legge
20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236;
g) semplificazione delle procedure, ivi compresa la eventuale sostituzione della garanzia fidejussoria prevista dall’art. 56 della legge 6 febbraio 1996, n. 52, per effetto delle disposizioni di cui ai commi 3 e seguenti definite a livello nazionale anche attraverso parametri standard, con deferimento ad atti delle amministrazioni competenti, adottati anche ai sensi dell’art. 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, ed a strumenti convenzionali oltre che delle
disposizioni di natura integrativa, esecutiva e organizzatoria anche della disciplina di specifici aspetti nei casi previsti dalle disposizioni regolamentari emanate ai sensi del comma 2, con particolare riferimento alla possibilita’ di stabilire requisiti minimi e criteri di valutazione delle sedi operative ai fini dell’accreditamento;
b) abrogazione, ove occorra, delle norme vigenti.
2. Le disposizioni regolamentari di cui al comma 1 sono emanate, a norma dell’art. 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, con uno o piu’ decreti, sulla proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri e del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con i Ministri della pubblica
istruzione, dell’universita’ e della ricerca scientifica e tecnologica, per le pari opportunita’, del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, per la funzione pubblica e gli affari regionali, sentita la conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, previo parere delle competenti commissioni parlamentari.
3. A garanzia delle somme erogate a titolo di anticipo o di acconto a valere sulle risorse del Fondo sociale europeo e dei relativi cofinanziamenti nazionali e’ istituito, presso il Ministero del tesoro – Ragioneria generale dello Stato – Ispettorato generale per l’amministrazione del Fondo di rotazione per l’attuazione delle politiche comunitarie (IGFOR), un fondo di rotazione con amministrazione autonoma e gestione fuori bilancio ai sensi dell’art. 9 della legge 25 novembre 1971, n. 1041.
4. Il fondo di cui al comma 3 e’ alimentato da un contributo a carico dei soggetti privati attuatori degli interventi finanziati, nonche’, per l’anno 1997, da un contributo di lire 30 miliardi che gravera’ sulle disponibilita’ derivanti dal terzo del gettito
della maggiorazione contributiva prevista dall’art. 25 della legge 21 dicembre 1978, n. 845, che affluisce, ai sensi dell’art. 9, comma 5, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236, al Fondo di rotazione per la formazione professionale e per l’accesso al Fondo sociale europeo previsto dal medesimo art. 25 della citata legge n. 845 del 1978.
5. Il fondo di cui al comma 3 utilizzera’ le risorse di cui al comma 4 per rimborsare gli organismi comunitari e nazionali, erogatori dei fmanziamenti, nelle ipotesi di responsabilita’ sussidiaria dello Stato membro, ai sensi dell’art. 23 del regolamento (CEE) n. 2082/93 del Consiglio del 20 luglio 1993, accertate anche precedentemente alla data di entrata in vigore della presente legge.
6. Entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge il Ministro del tesoro, di concerto con il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, stabilisce con proprio decreto le norme di amministrazione e di gestione del fondo di cui al comma 3.
Con il medesimo decreto e’ individuata l’aliquota del contributo a carico dei soggetti privati di cui al comma 4, da calcolare sull’importo del funzionamento concesso, che puo’ essere rideterminata con successivo decreto per assicurare l’equilibrio finanziario del predetto fondo. Il contributo non grava sull’importo dell’aiuto finanziario al quale hanno diritto i beneficiari”.
– Il decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, reca: “Interventi urgenti a sostegno dell’occupazione” (in Gazzetta Ufficiale 20 maggio 1993, n. 11) e convertito in legge, con modificazioni dall’art. 1, comma 1 della legge 19 luglio 1993, n. 236 (in Gazzetta Ufficiale 19 luglio 1993, n. 167). Il testo dell’art. 1, comma 7 e’ il seguente: “7. Per le finalita’ di cui al presente articolo e’ istituito presso il Ministero del lavoro e della previdenza sociale il Fondo per l’occupazione, alimentato dalle risorse di cui all’autorizzazione di spesa stabilita al comma 8, nel quale confluiscono anche i contributi comunitari destinati al finanziamento delle iniziative di cui al presente articolo, su richiesta del Ministero del lavoro e della previdenza sociale. A tale ultimo fine i contributi affluiscono all’entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnati al predetto Fondo”.
Note all’art. 7:
– Il testo dell’art. 2120, comma 8, del codice civile, e’ il seguente: “La richiesta deve essere giustificata dalla necessita’
di:
a) eventuali spese sanitarie per terapie e interventi straordinari riconosciuti dalle competenti strutture pubbliche;
b) acquisto della prima casa di abitazione per se’ o per i figli, documentato con atto notarile”.
– Il decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124 recante “Disciplina delle forme pensionistiche complementari, a norma dell’art. 3, comma 1, lettera v), della legge 23 ottobre 1992, n. 421” e’ pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 27 aprile 1993, n. 97, supplemento ordinario. Il testo dell’art. 7, comma 4, e’ il seguente: “4.
L’iscritto al fondo da almeno otto anni puo’ conseguire un’anticipazione dei contributi accumulati per eventuali spese sanitarie per terapie ed interventi straordinari riconosciuti dalle competenti strutture pubbliche, ovvero per l’acquisto della prima casa di abitazione per se’ o per i figli, documentato con atto notarile, o per la realizzazione degli interventi di cui alle lettere a), b),
c) e d) del primo comma dell’art. 31 della legge 5 agosto 1978, n. 457, relativamente alla prima casa di abitazione, documentati come previsto dalla normativa stabilita ai sensi dell’art. 1, comma 3, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, con facolta’ di reintegrare la propria posizione nel fondo secondo modalita’ stabilite dal fondo stesso. Non sono ammessi altre anticipazioni o riscatti diversi da quello di cui all’art. 10, comma 1, lettera c). Ai fini della determinazione dell’anzianita’ necessaria per
avvalersi della facolta’ di cui al presente comma sono considerati utili tutti i periodi di contribuzione a forme pensionistiche complementari maturati dall’iscritto per i quali l’interessato non abbia esercitato il riscatto della posizione individuale”.

Nota all’art. 9:
– Per il testo dell’art. 1, comma 7, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236, si veda in nota all’art. 6.
Note all’art. 10:
– Per il titolo della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, si veda in nota all’art. 3.
– Per il testo dell’art. 4 della citata legge n. 1204 del 1971, si veda in note all’art. 11. – Il testo dell’art. 5 della citata legge n. 1204 del 1971 e’ il seguente: “Art. 5. – L’ispettorato del lavoro puo’ disporre, sulla base di accertamento medico, l’interdizione
dal lavoro delle lavoratrici in stato di gravidanza, fino al periodo di astensione di cui alla lettera a) del precedente articolo, per uno o piu’ periodi, la cui durata sara’ determinata dall’ispettorato stesso, per i seguenti motivi:
a) nel caso di gravi complicanze della gestazione o di preesistenti forme morbose che si presume possano essere aggravate dallo stato di gravidanza;
b) quando le condizioni di lavoro o ambientali siano ritenute pregiudizievoli alla salute della donna e del bambino;
c) quando la lavoratrice non possa essere spostata ad altre mansioni, secondo il disposto del precedente art. 3”.
– Per il titolo della legge 29 dicembre 1987, n. 546, si veda in note all’art. 3.
Nota all’art. 11:
– Il testo dell’art. 4 della citata legge n. 1204 del 1971, come modificato dalla legge qui pubblicata, e’ il seguente:
“Art. 4. – E’ vietato adibire al lavoro le donne:
a) durante i due mesi precedenti la data presunta del parto;
b) ove il parto avvenga oltre tale data, per il periodo intercorrente tra la data presunta e la data effettiva del parto;
c) durante i tre mesi dopo il parto.
L’astensione obbligatoria dal lavoro e’ anticipata a tre mesi dalla data presunta del parto quando le lavoratrici sono occupate in lavori che, in relazione all’avanzato stato di gravidanza, siano da ritenersi gravosi o pregiudizievoli.
Tali lavori sono determinati con propri decreti dal Ministro per il lavoro e la previdenza sociale, sentite le organizzazioni sindacali.
Qualora il parto avvenga in data anticipata rispetto a quella presunta, i giorni non goduti di astensione obbligatoria prima del parto vengono aggiunti al periodo di astensione obbligatoria dopo il parto”.
La lavoratrice e’ tenuta a presentare entro trenta giorni, il certificato attestante la data del parto”.
Nota all’art. 12:
– Il decreto del Presidente della Repubblica 25 novembre 1976, n. 1026, recante “Regolamento di esecuzione della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, sulla tutela delle lavoratrici madri”, e’ pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 16 marzo 1977, n. 72. Si riporta il testo dell’art. 5: “Art. 5. – Il divieto di cui all’art. 3, primo comma, della legge si intende riferito al trasporto, sia a braccia e a spalle, sia con carretti a ruote su strada o su guida, e al sollevamento dei pesi, compreso il carico e scarico e
ogni altra operazione connessa. I lavori faticosi, pericolosi ed insalubri, vietati ai sensi dello stesso articolo, sono i seguenti:
A) quelli previsti dagli articoli 1 e 2 del decreto del Presidente della Repubblica 20 gennaio 1976, n. 432, recante la determinazione dei lavori pericolosi, faticosi e insalubri ai sensi dell’art. 6 della legge 17 ottobre 1967, n. 977, sulla tutela del lavoro dei fanciulli e degli adolescenti;
B) quelli indicati nella tabella allegata al decreto del Presidente della Repubblica 19 marzo 1956, n. 303, per i quali vige l’obbligo delle visite mediche preventive e periodiche: durante la gestazione e per 7 mesi dopo il parto;
C) quelli che espongono alla silicosi e all’asbestosi, nonche’ alle altre malattie professionali di cui agli allegati 4 e 5 al decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, e successive modificazioni: durante la gestazione e fino a 7 mesi dopo
il parto;
D) i lavori che comportano l’esposizione alle radiazioni ionizzanti di cui all’art. 65 del decreto del Presidente della Repubblica 13 febbraio 1964, n. 185: durante la gestazione e per 7 mesi dopo il parto;
E) i lavori su scale ed impalcature mobili e fisse: durante la gestazione e fino al termine del periodo di interdizione dal lavoro;
F) i lavori di manovalanza pesante: durante la gestazione e fino al termine del periodo di interdizione dal lavoro;
G) i lavori che comportano una stazione in piedi per piu’ di meta’ dell’orario o che obbligano ad una posizione particolannente affaticante: durante la gestazione e fino al termine di interdizione dal lavoro;
H) i lavori con macchina mossa a pedale, o comandata a pedale, quando il ritmo del movimento sia frequente, o esiga un notevole sforzo: durante la gestazione e fino al termine del periodo di interdizione dal lavoro;
I) i lavori con macchine scuotenti o con utensili che trasmettono intense vibrazioni: durante la gestazione e fino al termine del periodo di interdizione dal lavoro;
L) i lavori di assistenza e cura degli infermi nei sanatori e nei reparti per malattie infettive e per malattie nervose e mentali: durante la gestazione e per 7 mesi dopo il parto;
M) i lavori agricoli che implicano la manipolazione e l’uso di sostanze tossiche o altrimenti nocive nella concimazione del terreno e nella cura del bestiame: durante la gestazione e per 7 mesi dopo il parto;
N) i lavori di monda e trapianto del riso: durante la gestazione e fino al termine del periodo di interdizione dal lavoro;
O) i lavori a bordo delle navi, degli aerei, dei treni, dei pullman e di ogni altro mezzo di comunicazione in moto: durante la gestazione e fino al termine del periodo di interdizione dal lavoro.
Il periodo per il quale e’ previsto, ai sensi del terzo comma dell’art. 3 della legge, che la lavoratrice possa essere spostata ad altre mansioni, puo’ essere frazionato in periodi minori anche rinnovabili, su disposizione dell’ispettorato del lavoro, tenuto anche conto dello stato di salute dell’interessata. L’ispettorato del lavoro puo’ ritenere che sussistano condizioni ambientali sfavorevoli agli effetti dell’art. 3, terzo comma, e dell’art. 5, lettera b), della legge anche quando vi siano periodi di contagio derivanti alla lavoratrice dai contatti di lavoro con il pubblico o con particolari strati di popolazione, specie in periodi di epidemia.
Ai fini dell’applicazione del presente articolo, il certificato medico di gravidanza dovra’ essere presentato il piu’ presto possibile. Ad ogni modo, eventuali ritardi non comportano la perdita dei diritti derivanti dalle norme di tutela fisica, le quali pero’ diventano operanti soltanto dopo la presentazione di detto documento”.
Note all’art. 13:
– La legge 9 dicembre 1977, n. 903 recante “Parita’ di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro” e’ pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 17 dicembre 1977, n. 343. Il testo dell’art. 6 e’ il seguente:
“Art. 6. – Le lavoratrici che abbiano adottato bambini, o che li abbiano ottenuti in affidamento preadottivo, ai sensi dell’art. 314/20 del codice civile, possono avvalersi sempreche’ in ogni caso il bambino non abbia superato al momento dell’adozione o dell’affidamento i sei anni di eta’, dell’astensione obbligatoria dal lavoro di cui all’art. 4, lettera c), della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, e del trattamento economico relativo, durante i primi tre mesi successivi all’effettivo ingresso del bambino nella famiglia adottiva o affidataria.
Le stesse lavoratrici possono altresi’ avvalersi del diritto di assentarsi dal lavoro di cui all’art. 7, primo comma, della legge di cui sopra entro un anno dall’effettivo ingresso del bambino nella famiglia e sempreche’ il bambino non abbia superato i tre anni di
eta’, nonche’ del diritto di assentarsi dal lavoro previsto dal secondo comma dello stesso art. 7”.
– Per il testo dell’art. 4 della legge 4 gennaio 1968, n. 15, si veda in nota all’art. 3.
– Il testo dell’art. 6 della citata legge n. 1204 del 1971 e’ il seguente:
“Art. 6. – I periodi di astensione obbligatoria dal lavoro ai sensi degli articoli 4 e 5 della presente legge levono essere computati nell’anzianita’ di servizio a tutti gli effetti, compresi quelli relativi alla tredicesima mensilita’ o alla gratifica natalizia e alle ferie.”.
– Per il testo dell’art. 2 della legge n. 1204/1971, si veda in nota all’art. 17.
– Per il testo dell’art. 10 della legge n. 1204/1971, si veda in nota all’art. 3.
Nota all’art. 14:
– La legge 7 agosto 1990, n. 232 recante “Coperture per le spese derivanti dall’applicazione dell’accordo per il triennio 1988-1990 relativo al personale della Polizia di Stato ed estensione agli altri Corpi di Polizia” e’ pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell’11 agosto 1990, n. 187, supplemento ordinario. Il testo del primo periodo del comma 1, dell’art. 13 e’ il seguente:
“Art. 13 (Tutela delle lavoratrici madri). – E’ vietato adibire al lavoro operativo le appartenenti alla Polizia di Stato durante la gestazione fermo restando quanto previsto dalla legge 30 dicembre 1971, n. 1204”.
Note all’art. 17:
– Si riporta il testo dell’art. 2 della citata legge n. 1204/1971, come modificato dalla legge qui pubblicata: “Art. 2. – Le lavoratrici non possono essere licenziate dall’inizio del periodo di gestazione fino al termine del periodo di interdizione dal lavoro previsto dall’art. 4 della presente legge, nonche’ fino al compimento di un anno di eta’ del bambino.
Il divieto di licenziamento opera in connessione con lo stato oggettivo di gravidanza e puerperio, e la lavoratrice, licenziata nel corso del periodo in cui opera il divieto, ha diritto di ottenere il ripristino del rapporto di lavoro mediante presentazione, entro novanta giorni dal licenziamento, di idonea certificazione dalla quale risulti l’esistenza, all’epoca del licenziamento, delle condizioni che lo vietavano.
Il divieto di licenziamento non si applica nel caso:
a) di colpa grave da parte della lavoratrice, costituente giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro;
b) di cessazione dell’attivita’ dell’azienda cui essa e’ addetta;
c) di ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice e’ stata assunta o di risoluzione del rapporto di lavoro per la scadenza del termine.
Le lavoratrici addette ad industrie e lavorazioni che diano luogo a disoccupazione stagionale, di cui alla tabella annessa al decreto ministeriale 30 novembre 1964, e successive modificazioni, le quali siano licenziate a norma della lettera b) del terzo comma del presente articolo, hanno diritto, per tutto il periodo in cui opera il divieto di licenziamento, alla ripresa dell’attivita’ lavorativa stagionale e, sempreche’ non si trovino in periodo di astensione obbligatoria dal lavoro, alla precedenza nelle
riassunzioni. Durante il periodo nel quale opera il divieto di licenziamento, la lavoratrice non puo’ essere sospesa dal lavoro, salvo il caso che sia sospesa l’attivita’ dell’azienda o del reparto cui essa e’ addetta, sempreche’ il reparto stesso abbia autonomia funzionale.
Al termine del periodo di interdizione dal lavoro previsto dall’art. 4 della presente legge le lavoratrici hanno diritto, salvo che espressamente vi rinuncino, di rientrare nella stessa unita’ produttiva ove erano occupate all’inizio del periodo di gestazione o in altra ubicata nel medesimo comune, e di permanervi fino al compimento di un anno di eta’ del bambino; hanno altresi’ diritto di essere adibite alle mansioni da ultimo svolte o a mansioni equivalenti”.
– Per il titolo della legge 9 dicembre 1977, n. 903, si veda in note all’art. 13.
Nota all’art. 19:
– La legge 5 febbraio 1992, n. 104, recante “Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate”, e’ pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 17 febbraio 1992, n. 39, supplemento ordinario. Il testo dell’art. 33, come modificato dalla legge qui pubblicata, e’ il seguente: “Art. 33 (Agevolazioni). – 1. La lavoratrice madre o, in alternativa, il lavoratore padre, anche adottivi, di minore con handicap in situazione di gravita’ accertata ai sensi dell’art. 4, comma 1, hanno diritto al prolungamento fino a tre anni del periodo di astensione facoltativa dal lavoro di cui all’art. 7 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, a condizione che il bambino non sia ricoverato a tempo pieno presso istituti specializzati.
2. I soggetti di cui al comma 1 possono chiedere ai rispettivi datori di lavoro di usufruire, in alternativa al prolungamento fino a tre anni del periodo di astensione facoltativa, di due ore di permesso giornaliero retribuito fino al compimento del terzo anno di vita del bambino.
3. Successivamente al compimento del terzo anno di vita del bambino, la lavoratrice madre o, in alternativa, il lavoratore padre, anche adottivi, di minore con handicap in situazione di gravita’, nonche’ colui che assiste una persona con handicap in situazione di gravita’, parente o affine entro il terzo grado, convivente, hanno diritto a tre giorni di permesso mensile, coperti da contribuzione figurativa fruibili anche in maniera continuativa a condizione che la persona con handicap in situazione di
gravita’ non sia ricoverata a tempo pieno.
4. Ai permessi di cui ai commi 2 e 3, che si cumulano con quelli previsti all’art. 7 della citata legge n. 1204 del 1971, si applicano le disposizioni di cui all’ultimo comma del medesimo art. 7 della legge n. 1204 del 1971, nonche’ quelle contenute negli articoli 7 e 8 della legge 9 dicembre 1977, n. 903.
5. Il genitore o il familiare lavoratore, con rapporto di lavoro pubblico o privato, che assista con continuita’ un parente o un affine entro il terzo grado handicappato ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro piu’ vicina al proprio domicilio e non puo’ essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede.
6. La persona handicappata maggiorenne in situazione di gravita’ puo’ usufruire alternativamente dei permessi di cui ai commi 2 e 3, ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro piu’ vicina al proprio domicilio e non puo’ essere trasferita in altra sede, senza il suo consenso.
7. Le disposizioni di cui ai commi 1, 2, 3, 4 e 5 si applicano anche agli affidatari di persone bandicappate in situazione di gravita'”.

Nota all’art. 20:
– Il testo dell’art. 33 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e’ riportato in nota all’art. 19.
Note all’art. 21:
– Il decreto-legge 20 gennaio 1998, n. 4 (in Gazzetta Ufficiale 21 gennaio 1998, n. 16), convertito, con modificazioni, dalla legge 20 marzo 1998, n. 52 (in Gazzetta Ufficiale 21 marzo 1998, n. 67) reca “Disposizioni urgenti in materia di sostegno al reddito, di incentivazione all’occupazione e di carattere previdenziale”. Il testo dell’art. 3 e’ il seguente: “Art. 3 (Integrazione del Fondo per l’occupazione). – 1. Per il finanziamento del Fondo di cui all’art. 1, comma 7, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236, e’ autorizzata la spesa di lire 976 miliardi per l’anno 1998, di lire 913 miliardi per l’anno 1999 e di lire 714 miliardi a decorrere dall’anno 2000. Al relativo onere si provvede
mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 1998-2000, nell’ambito dell’unita’ previsionale di base di parte corrente “Fondo speciale” del Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica per l’anno 1998, parzialmente utilizzando:
a) quanto a lire 973 miliardi per il 1998, a lire 913 miliardi per l’anno 1999 e a lire 714 miliardi a decorrere dall’anno 2000, l’accantonamento relativo al Ministero del lavoro e della previdenza sociale;
b) quanto a lire 3 miliardi per il 1998, l’accantonamento relativo al Ministero per le politiche agricole”.
– Il testo dell’art. 1 della legge 28 agosto 1997, n. 285, recante: “Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunita’ per l’infanzia e l’adolescenza”, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 5 settembre 1997, n. 207, e’ il seguente: “Art. 1 (Fondo nazionale per l’infanzia e l’adolescenza). – 1. E’ istituito, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Fondo nazionale per l’infanzia
l’adolescenza finalizzato alla realizzazione di interventi a livello nazionale, regionale e locale per favorire la promozione dei diritti, la qualita’ della vita, lo sviluppo, la realizzazione individuale e la socializzazione dell’infanzia e dell’adolescenza, privilegiando l’ambiente ad esse piu’ confacente ovvero la famiglia naturale, adottiva o affidataria, in attuazione dei principi della
Convenzione sui diritti del fanciullo resa esecutiva ai sensi della legge 27 maggio 1991, n. 176, e degli articoli 1 e 5 della legge 5 febbraio 1992, n. 104.
2. Il Fondo e’ ripartito tra le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano. Una quota pari al trenta per cento delle risorse del Fondo e’ riservata al, finanziamento di interventi da realizzare nei comuni di Venezia, Milano, Torino, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Bari, Brindisi, Taranto, Reggio Calabria, Catania, Palermo e Cagliari. La ripartizione del Fondo e della quota riservata avviene, per il cinquanta per cento, sulla base dell’ultima rilevazione della popolazione minorile
effettuata dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) e per il cinquanta per cento secondo i seguenti criteri:
a) carenza di strutture per la prima infanzia secondo le indicazioni del Centro nazionale di documentazione e di analisi per l’infanzia della Presidenza del Consiglio dei Ministri;
b) numero di minori presenti in presidi residenziali socioassistenziali in base all’ultima rilevazione dell’ISTAT;
c) percentuale di dispersione scolastica nella scuola dell’obbligo come accertata dal Ministero della pubblica istruzione;
d) percentuale di famiglie con figli minori che vivono al di sotto della soglia di poverta’ cosi’ come stimata dall’ISTAT;
e) incidenza percentuale del coinvolgimento di minori in attivita’ criminose come accertata dalla Direzione generale dei servizi civili del Ministero dell’interno, nonche’ dall’Ufficio centrale per la giustizia minorile del Ministero di grazia e giustizia.
3. Entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Ministro per la solidarieta’ sociale, con proprio decreto emanato di concerto con i Ministri dell’interno, del tesoro, di grazia e giustizia e con il Ministro per le pari opportunita’,
sentite la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano nonche’ le Commissioni parlamentari competenti, provvede alla ripartizione delle quote del Fondo tra le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e di quelle riservate ai comuni, ai sensi del comma 2.
4. Per il finanziamento del Fondo e’ autorizzata la spesa di lire 117 miliardi per l’anno 1997 e di lire 312 miliardi a decorrere dall’anno 1998”.
Nota all’art. 22:
– Il testo dell’art. 36, comma 3, della legge 8 giugno 1990, n. 142, e successive modificazioni, recante “Ordinamento delle autonomie locali” e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 12 giugno 1990, n. 135, supplemento ordinario, e’ il seguente:
“3. Il sindaco coordina e riorganizza, sulla base degli indirizzi espressi dal consiglio comunale e nell’ambito dei criteri eventualmente indicati dalla regione, gli orari degli esercizi commerciali, dei pubblici esercizi e dei servizi pubblici, nonche’, d’intesa con i responsabili territorialmente competenti delle amministrazioni interessate, gli orari di apertura al pubblico degli uffici pubblici localizzati nel territorio, al fine di armonizzare l’espletamento dei servizi con le esigenze complessive e
generali degli utenti”.
Nota all’art. 23:
– Il testo dell’art. 36, comma 3, della legge 8 giugno 1990, n. 142, e successive modificazioni, e’ riportato in nota all’art. 22.
Note all’art. 24:
– Il testo dell’art. 6 della citata legge 8 giugno 1990, n. 142, e successive modificazioni, e’ il seguente: “Art. 6 (Partecipazione popolare). – 1. I comuni valorizzano le libere forme associative e promuovono organismi di partecipazione popolare all’amministrazione locale, anche su base di quartiere o di frazione. I rapporti di tali forme associative con il comune sono
disciplinati dallo statuto.
2. Nel procedimento relativo all’adozione di atti che incidono su situazioni giuridiche soggettive devono essere previste forme di partecipazione degli interessati secondo le modalita’ stabilite dallo statuto, nell’osservanza dei principi stabiliti dalla legge 7 agosto 1990, n. 241.
3. Nello statuto devono essere previste forme di consultazione della popolazione nonche’ procedure per l’ammissione di istanze, petizioni e proposte di cittadini singoli o associati dirette a promuovere interventi per la migliore tutela di interessi collettivi e devono essere altresi’ determinate le garanzie per il loro tempestivo esame. Possono essere altresi’ previsti referendum anche su richiesta di un adeguato numero di cittadini.
4. Le consultazioni e i referendum di cui al presente articolo devono riguardare materie di esclusiva competenza locale e non possono avere luogo in coincidenza con operazioni elettorali provinciali, comunali e circoscrizionali”.
– Il testo degli articoli da 11 a 13 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, recante “Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell’art. 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59” e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 24 aprile 1998, n. 95, supplemento ordinario, e’ il seguente: “Art. 11 (Orario di apertura e di chiusura). – 1. Gli orari di apertura e di chiusura al pubblico degli esercizi di vendita al dettaglio sono rimessi alla libera determinazione degli esercenti nel
rispetto delle disposizioni del presente articolo e dei criteri emanati dai comuni, sentite le organizzazioni locali dei consumatori, delle imprese del commercio e dei lavoratori dipendenti, in esecuzione di quanto disposto dall’art. 36, comma 3, della legge 8 giugno 1990, n. 142.
2. Fatto salvo quanto disposto al comma 4, gli esercizi commerciali di vendita al dettaglio possono restare aperti al pubblico in tutti i giorni della settimana dalle ore sette alle ore ventidue. Nel rispetto di tali limiti l’esercente puo’ liberamente determinare l’orario di apertura e di chiusura del proprio esercizio non superando comunque il limite delle tredici ore giornaliere.
3. L’esercente e’ tenuto a rendere noto al pubblico l’orario di effettiva apertura e chiusura del proprio esercizio mediante cartelli o altri mezzi idonei di informazione.
4. Gli esercizi di vendita al dettaglio osservano la chiusura domenicale e festiva dell’esercizio e, nei casi stabiliti dai comuni, sentite le organizzazioni di cui al comma l, la mezza giornata di chiusura infrasettimanale.
5. Il comune, sentite le organizzazioni di cui al comma 1, individua i giorni e le zone del territorio nei quali gli esercenti possono derogare all’obbligo di chiusura domenicale e festiva. Detti giorni comprendono comunque quelli del mese di dicembre, nonche’ ulteriori otto domeniche o festivita’ nel corso degli altri mesi dell’anno”.
“Art. 12 (Comuni ad economia prevalentemente turistica e citta’ d’arte). – 1. Nei comuni ad economia prevalentemente turistica, nelle citta’ d’arte o nelle zone del territorio dei medesimi, gli esercenti determinano liberamente gli orari di apertura e di chiusura e possono derogare dall’obbligo di cui all’art. 11, comma 4.
2. Al fine di assicurare all’utenza, soprattutto nei periodi di maggiore afflusso turistico, idonei livelli di servizio e di informazione, le organizzazioni locali dei consumatori, delle imprese del commercio e del turismo e dei lavoratori dipendenti, possono definire accordi da sottoporre al sindaco per l’esercizio delle funzioni di cui all’articolo 36, comma 3, della legge 8 giugno 1990, n.
142.
3. Entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, anche su proposta dei comuni interessati e sentite le organizzazioni dei consumatori, delle imprese del commercio e del turismo e dei lavoratori dipendenti, le regioni individuano i comuni ad economia prevalentemente turistica, le citta’ d’arte o le zone del territorio dei medesimi e i periodi di maggiore afflusso turistico nei quali gli esercenti possono esercitare la facolta’ di cui al comma 1”.
“Art. 13 (Disposizioni speciali) . – 1. Le disposizioni del presente titolo non si applicano alle seguenti tipologie di attivita’: le rivendite di generi di monopolio; gli esercizi di vendita interni ai campeggi, ai villaggi e ai complessi turistici e alberghieri; gli
esercizi di vendita al dettaglio situati nelle aree di servizio lungo le autostrade, nelle stazioni ferroviarie, marittime ed aeroportuali; alle rivendite di giornali; le gelaterie e gastronomie; le rosticcerie e le pasticcerie; gli esercizi specializzati nella vendita di bevande, fiori, piante e articoli da giardinaggio, mobili, libri, dischi, nastri magnetici, musicassette, videocassette, opere d’arte, oggetti d’antiquariato, stampe, cartoline, articoli da ricordo e artigianato locale, nonche’ le stazioni di servizio autostradali, qualora le attivita’ di vendita previste dal presente comma siano svolte in maniera esclusiva e prevalente, e le sale cinematografiche.
2. Gli esercizi del settore alimentare devono garantire l’apertura al pubblico in caso di piu’ di due festivita’ consecutive. Il sindaco definisce le modalita’ per adempiere all’obbligo di cui al presente comma.
3. I comuni possono autorizzare, in base alle esigenze dell’utenza e alle peculiari caratteristiche del territorio, l’esercizio dell’attivita’ di vendita in orario notturno esclusivamente per un limitato numero di esercizi di vicinato”.

Nota all’art. 26:
– Il decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni, recante: “Razionalizzazione dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell’art. 2, della legge 23 ottobre 1992, n. 421”, e’ pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 6 febbraio 1993, n. 30, supplemento ordinario.

Nota all’art. 28:
– Il testo dell’art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, recante: “Definizione ed ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le
materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato-citta’ ed autonomie locali”, e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 30 agosto 1997, n. 202, e’ il seguente: “Art. 8 (Conferenza Stato-citta’ ed autonomie locali e Conferenza unificata). – 1. La Conferenza Stato-citta’ ed autonomie locali e’ unificata per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province, dei comuni e delle comunita’ montane, con la Conferenza
Stato-regioni.
2. La Conferenza Stato-citta’ ed autonomie locali e’ presieduta dal Presidente del Consiglio dei Ministri o, per sua delega, dal Ministro dell’interno o dal Ministro per gli affari regionali; ne fanno parte altresi’ il Ministro del tesoro e del bilancio e della programmazione economica, il Ministro delle finanze, il Ministro dei lavori pubblici, il Ministro della sanita’, il presidente dell’Associazione nazionale dei comuni d’Italia – ANCI, il presidente dell’Unione province d’Italia – UPI ed il presidente
dell’Unione nazionale comuni, comunita’ ed enti montani – UNCEM. Ne fanno parte inoltre quattordici sindaci designati dall’ANCI e sei presidenti di provincia designati dall’UPI.
Dei quattordici sindaci designati dall’ANCI cinque rappresentano le citta’ individuate dall’art. 17 della legge 8 giugno 1990, n. 142. Alle riunioni possono essere invitati altri membri del Governo, nonche’ rappresentanti di amministrazioni statali, locali o di enti pubblici.
3. La Conferenza Stato-citta’ ed autonomie locali e’ convocata almeno ogni tre mesi, e comunque in tutti i casi il presidente ne ravvisi la necessita’ o qualora ne faccia richiesta il presidente dell’ANCI, dell’UPI o dell’UNCEM.
4. La Conferenza unificata di cui al comma 1 e’ convocata dal Presidente del Consiglio dei Ministri. Le sedute sono presiedute dal Presidente del Consiglio dei Ministri o, su sua delega, dal Ministro per gli affari regionali o, se tale incarico non e’ conferito, dal Ministro dell’interno”.
Nota all’art. 28:
– Il testo dell’art. 8, comma 10, lettera f), della legge 23 dicembre 1998, n. 448, recante, “Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo” e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 29 dicembre 1998, n. 302, supplemento ordinario, e’ il seguente: “10. Le maggiori entrate derivanti per effetto delle disposizioni di cui ai commi precedenti sono destinate:
a-e) (omissis); f) a misure compensative di settore con incentivi per la riduzione delle emissioni inquinanti, per l’efficienza
energetica e le fonti rinnovabili nonche’ per la gestione di reti di teleriscaldamento alimentato con biomassa quale fonte energetica nei comuni ricadenti nelle predette zone climatiche E ed F, con la concessione di un’agevolazione fiscale con credito d’imposta pari a lire 20 per ogni chilovattora (Kwh) di calore fornito, da traslare sul prezzo di cessione all’utente finale”.

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