Figlio maggiorenne invalido e pensione di reversibilità. (03.01.2007)

Provvidenze economiche

Diritto a percepire la pensione di reversibilità da parte dei figli maggiorenni inabili al lavoro.

Tra i soggetti ammessi a beneficiare della pensione ai superstiti rientrano anche i figli maggiorenni invalidi che siano stati giudicati inabili al lavoro. Questo significa che l’invalido potrà richiedere la pensione di reversibilità solo se sia stato riconosciuto inabile al lavoro dalle competenti commissioni. Nel caso di dipendenti del settore privato l’inabilità al lavoro del richiedente viene valutata dall’INPS, nel caso di dipendenti pubblici la valutazione compete al Ministero del Tesoro. Il concetto di invalidità si distingue tecnicamente da quello di inabilità lavorativa. E’ possibile che un soggetto sia invalido anche al 100% ma non sia stato giudicato inabile al lavoro, in questo caso il diritto a percepire la pensione di reversibilità non è automatico e il requisito della inabilità al lavoro deve essere comunque accertato. Premesso che il concetto di invalidità e di inabilità lavorativa sono differenti dal punto di vista tecnico, è anche ammissibile che una percentuale invalidante inferiore al 100% possa essere accompagnata dal giudizio di inabilità alla prestazione di attività lavorativa, circostanza che potrebbe legittimare l’individuo a percepire la provvidenza economica in oggetto.

Oltre al requisito dell’inabilità al lavoro, riconosciuto dalle apposite commissioni, il figlio invalido deve risultare a carico del genitore. Per stabilire questo requisito si fa riferimento a determinati parametri di reddito, cioè si definiscono a carico del genitore deceduto i figli maggiorenni inabili al lavoro che abbiano un reddito inferiore a quello richiesto dalla legge per beneficiare della pensione di invalidità. (Vedi circolare INPS 29/11/2000, n. 198) Nella circostanza in cui il figlio inabile percepisca l’indennità di accompagnamento il limite di reddito è più alto, l’importo è infatti maggiorato del valore monetario della predetta indennità.
Nel computo del reddito del figlio inabile devono essere considerati solo i redditi assoggettabili a fini IRPEF con esclusione pertanto delle provvidenze economiche di invalidità civile.

I requisiti richiesti, cioè, l’inabilità al lavoro ed il risultare a carico del genitore defunto, devono essere posseduti al momento della morte del genitore. Sarebbe pertanto irrilevante la successiva sopravvenienza dei requisiti o la mera preesistenza degli stessi. Ove tali requisiti venissero meno nel corso del tempo, anche se precedentemente sia stato riconosciuto il diritto alla pensione, si decade dal beneficio e la reversibilità non potrà essere più percepita(vedi circolare INPS 24/12/1991, n. 289).

Non comporta la perdita del requisito dell’inabilità lo svolgimento di attività lavorative effettuato per finalità terapeutiche presso cooperative sociali (vedi circolare INPS 10/07/2001, n. 137).

Ricordiamo che il figlio superstite non ha diritto a percepire l’intero ammontare della pensione del genitore defunto ma una quota stabilita nella misura del 70%.

Nell’ipotesi in cui il figlio inabile al lavoro sia sopravvissuto insieme alla madre, entrambi i soggetti sono contitolari del diritto alla pensione di inabilità, che verrà erogata nella misura dell’80%. In questo caso alla morte della madre il figlio superstite, inabile al lavoro, e risultante a carico della stessa, potrà a sua volta chiedere la pensione di reversibilità. In caso di presenza di uno dei genitori il riconoscimento della pensione direttamente al figlio inabile è altresì possibile, purché venga dimostrato che il genitore superstite non sia in condizione di provvedere al mantenimento del figlio.

Ai fini della richiesta di pensione ai superstiti deve essere compilato un apposito modulo reperibile presso l’ente cui viene inoltrata la richiesta, l’ente erogatore procede poi alla valutazione dei requisiti relativi al reddito ad alla inabilità lavorativa.

Indipendentemente dalla data di presentazione della domanda la pensione decorre dal mese successivo alla morte del genitore.

Nel caso in cui la domanda di pensione ai superstiti non venga accolta l’interessato può proporre ricorso al Comitato provinciale dell’INPS entro 90 giorni dalla data di comunicazione del diniego.

Per le pensioni di reversibilità riconosciute a decorrere dal 1 luglio 2000 è ammessa la cumulabilità con la rendita vitalizia liquidata dall’INAIL per i casi di morte, infortunio sul lavoro o malattia professionale. Le pensioni riconosciute anteriormente, sospese o ridotte ai sensi e per gli effetti della legge 335/1995, non sono cumulabili con le rendite INAIL fino alla data del 30 giugno 2000, sono cumulabili con la rendita vitalizia dal 1 luglio 2000.

Approfondimenti. Necessità di una valutazione in concreto dell’inabilità lavorativa, orientamenti della giurisprudenza.

La pensione di reversibilità è stata istituita con il R.D.L. 636/1939 convertito nella Legge 1272/1939 modificato in seguito dalla Legge 218/1952 e dalla Legge 903/1965. Tra i soggetti legittimati a richiedere la pensione di reversibilità sono stati previsti anche i figli di qualunque età inabili al lavoro ed a carico del genitore al momento del decesso di questi.

L’art 2, comma 1 della Legge 12 giugno 1984, n. 222 “Revisione della disciplina della invalidità pensionabile” ha stabilito che deve considerarsi inabile al lavoro l’individuo che a “causa di infermità o difetto fisico o mentale, si trovi nell’assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa”. Nel corso degli anni la giurisprudenza ha avuto modo di chiarire cosa debba intendersi per inabilità al lavoro adottando un criterio interpretativo che è andato oltre il mero tenore letterale della disposizione di cui sopra. Secondo un consolidato orientamento della Corte di Cassazione il concetto di inabilità lavorativa non viene a coincidere con quello di inidoneità a svolgere qualunque tipo di lavoro, ma va inteso come incapacità per l’individuo di dedicarsi ad un lavoro produttivo di adeguato profitto che risulti adatto a consentirgli di provvedere, in modo normale e non usurante, alle proprie esigenze di vita (Cass.Civ, sez. lav., 13 aprile 1981, n. 2204, in Giust. Civ. Mass.1981, f. 4). Di recente la Suprema Corte ha nuovamente riconosciuto il diritto a percepire la pensione di reversibilità anche in assenza di invalidità riconosciuta nella misura del 100%. In particolare la Corte ha chiarito che l’accertamento del requisito dell’inabilità deve essere operato in concreto e cioè “avendo riguardo al possibile impiego delle eventuali energie lavorative residue in relazione al tipo d’infermità e alle generali attitudini del soggetto, in modo da verificare, anche nel caso del mancato raggiungimento di una riduzione del 100% dell’ astratta capacità di lavoro, la permanenza di una capacità dello stesso di svolgere attività idonee nel quadro dell’art 36 Cost. e tali da procurare una fonte di guadagno non simbolico” (Cass. Civ., sez. lav., 9 luglio 2004, n. 12765, in Giust. Civ. Mass. 2004, f . 7).

Le energie lavorative residue, pertanto, dovrebbero avere un possibile e concreto impiego, nel senso che la definizione in astratto delle residue capacità lavorative dovrebbe trovare riscontro nella realtà e nella possibilità per il soggetto di applicarsi in un’ attività lavorativa idonea a consentire il suo sostentamento. Riguardo a questo aspetto la Suprema Corte aveva rilevato ad es. che “ il presupposto della assoluta e permanente impossibilità dello svolgimento di attività lavorativa non può ritenersi incompatibile con lo svolgimento di lavori agricoli che non risultino idonei a produrre un reddito apprezzabile” (Cass. Civ., 30 maggio 1994, n. 5266). L’attività lavorativa, inoltre, deve poter essere effettuata in condizioni normali e non eccessivamente usuranti, tenendo conto anche delle condizioni del mercato del lavoro (vedi anche Pretura di Matera, 28 novembre 1985).

L’utilizzo delle residue capacità lavorative del soggetto non può prescindere dal rispetto della dignità della persona, dignità palesemente pregiudicata ove la prestazione lavorativa effettuata dall’individuo divenga eccessivamente usurante per lui e dunque non possa ritenersi perpetrata in condizioni di normalità. Da quanto stabilito dalla Cassazione si deduce che lo svolgimento di alcune tipologie di lavoro non possa reputarsi sintomatico della presenza di un’abilità lavorativa idonea ad escludere il diritto alla pensione di reversibilità. Il lavoro svolto dall’invalido, infatti, dovrebbe essere tale da consentirgli un’esistenza libera e dignitosa, libertà e dignità che verrebbero negate ove il guadagno economico fosse meramente simbolico, e ove le condizioni lavorative fossero particolarmente usuranti; la Cassazione è stata emblematica nel riferimento ai principi di cui all’art. 36 della Costituzione. Inoltre, l’abilità lavorativa, dovrebbe essere valutata in relazione a prestazioni lavorative che siano caratterizzate, da una parte, da un certo grado di complessità, e siano sufficienti, dall’altra, a promuovere la libertà e la dignità della persona. L’insussistenza del requisito dell’inabilità al lavoro, pertanto, non dovrebbe appiattirsi pedissequamente sulla sussistenza di una qualsiasi attività lavorativa svolta dal soggetto, ma dovrebbe evincersi, semmai, solo da quelle attività caratterizzate da un certo grado di complessità e dalle quali si possa ragionevolmente desumere un certo livello di autogestione ed autodeterminazione dell’individuo, livello che allora potrà integrare gli estremi di un’abilità lavorativa i senso proprio.

Dr. Michele Costa
Informarecomunicando – Centro d’informazione per la disabilità.
UILDM Sez. Pisa

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