Imputato disabile e diritto di difesa nel processo penale, due sentenze per un’unica riflessione. (05.09.2006) – Tutela giudiziaria

Tutela giudiziaria

L’art. 24 della Carta Costituzionale sancisce il diritto alla difesa come inviolabile in ogni stato e grado del procedimento.
L’argomento acquisisce una valenza peculiare in relazione all’imputato portatore di handicap sensoriale o fisico, condizioni che possono costituire ostacoli alla partecipazione al processo e quindi incidere negativamente sul diritto di difesa.
Compito delle istituzioni è allora quello di promuovere la partecipazione di tutti i cittadini al processo, garantendo sia l’ accessibilità delle aule di giustizia, sia l’effettiva comprensione di tutto lo sviluppo della dinamica dibattimentale.
Handicap fisici da una parte ed handicap sensoriali dall’altra possono costituire delle limitazioni alla corretta attuazione del diritto di difesa.
Proponiamo sul tema una pronuncia della Corte Costituzionale, ed un orientamento della Corte di Cassazione, che formulati in occasione di problematiche distinte, perché afferenti a diverse tipologie di disabilità, collimano comunque nel riconoscere un preciso dovere delle istituzioni, quello di superare le limitazioni connesse agli handicaps per consentire la partecipazione consapevole alle vicende processuali e garantire quindi integralmente il diritto alla difesa.

Diritto dell’imputato sordomuto a partecipare consapevolmente al processo.

L’art. 119 c.p.p. disciplina la partecipazione del sordo, muto o sordomuto agli atti del procedimento penale, dispone infatti che “ Quando un sordo, un muto o sordomuto vuole o deve fare dichiarazioni, al sordo si presentano per iscritto le domande, gli avvertimenti e le ammonizioni ed egli risponde oralmente; al muto si fanno oralmente le domande, gli avvertimenti e le ammonizioni ed egli risponde per iscritto; al sordomuto si presentano per iscritto le domande, gli avvertimenti e le ammonizioni ed egli risponde per iscritto.
Se il sordo, il muto o il sordomuto non sa leggere o scrivere, l’autorità procedente nomina uno o più interpreti, scelti di preferenza fra le persone abituate a trattare con lui.
Senza ombra di dubbio tali disposizioni non erano sufficienti a garantire la completa partecipazione al processo di coloro che sono affetti da handicaps sensoriali.
Ciò è facilmente deducibile se consideriamo il procedimento nel suo complesso e la necessità, da parte di chi vi partecipa, di comprenderlo in tutti i suoi momenti.
La previsione originaria dell’art 119 c.p.p., infatti, contemplava solo le ipotesi in cui l’imputato volesse o dovesse rendere dichiarazioni, senza prevedere, però, misure efficaci per la comprensione di tutte le vicende del giudizio.

La questione non è passata inosservata, invero, con sentenza n. 341 del 22/07/1999, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’art 119 c.p.p.” nella parte in cui non prevede che l’imputato sordo, muto o sordomuto, indipendentemente dal fatto che sappia o meno leggere e scrivere, ha diritto di farsi assistere gratuitamente da un interprete, scelto di preferenza fra persone abituate a trattare con lui , al fine di potere comprendere l’accusa contro di lui formulata e di seguire il compimento degli atti cui partecipa.”
La Corte ha riconosciuto l’incompatibilità dell’art 119 c.p.p. con i principi costituzionali di uguaglianza formale e sostanziale di cui all’art 3 della Carta Costituzionale, e con il diritto alla difesa di cui all’art 24, inviolabile in ogni stato e grado del procedimento.
Ora, sembra chiaro, che l’effettiva garanzia del diritto alla difesa non può prescindere dalla consapevole partecipazione dell’imputato a tutte le fasi del processo e dall’opportunità che lo stesso sia messo in grado di comprendere tutta la dinamica dibattimentale.

L’attuazione del diritto alla difesa non è avulsa dal consentire all’imputato di comprendere il significato linguistico delle espressioni orali dell’autorità procedente e di tutti i protagonisti del procedimento, possibilità cui deve necessariamente seguire anche quella di esprimersi con immediatezza su quanto percepito e compreso.

La comprensione della dialettica processuale non può restringersi alle ipotesi previste nel testo originario dell’art 119 c.p.p. ma deve estendersi a tutto il dibattimento, ambito naturale ed esclusivo di formazione della prova.
Inoltre la sola risposta per iscritto prevista dal suddetto art. si traduceva in una significativa limitazione delle modalità di espressione e di comunicazione dell’imputato.
Tutti possiamo convenire che a livello espressivo sussistano delle differenze tra il linguaggio scritto ed il linguaggio parlato, escludere quest’ultimo proprio in un ambito caratterizzato dall’oralità significherebbe in ultima istanza negare all’imputato la possibilità di esprimersi liberamente.
La necessitata traduzione delle idee in un testo scritto, soprattutto nell’ambito di un dibattimento, corre il rischio di mettere l’imputato in una condizione di minore capacità esplicativa.

Ecco che la Corte Costituzionale, attraverso la citata sentenza, corregge un vizio congenito della disposizione in esame a tutela del diritto alla difesa, fondamentale garanzia che sarebbe compromessa ove l’imputato non venisse messo a conoscenza personalmente, immediatamente e integralmente di quanto avviene nel processo.

D’altro canto l’informazione per essere integrale deve coinvolgere tutti gli elementi sui quali l’accusa si basa, deve estendersi a tutte le vicende istruttorie e probatorie che via via si articolano nel dibattimento e deve veicolare in maniera corretta tutte le affermazioni e le determinazioni espresse dall’autorità procedente e dalle altre parti.
Solo questa integrità può consentire all’imputato di svolgere la propria attività difensiva, anche in forma di autodifesa, in modo coerente ed appropriato agli effettivi sviluppi processuali.

In relazione alla garanzia di comprensione del processo ed alla partecipazione consapevole allo stesso, il legislatore italiano già aveva considerato la posizione dello straniero, contemplando il diritto di costui di farsi assistere gratuitamente da un interprete al fine di comprendere l’accusa contro di lui formulata e di seguire il compimento degli atti (art. 143 c.p.p.).
Ma se in relazione all’imputato straniero sembra sufficiente la presenza in dibattimento del traduttore, di fronte all’imputato con disabilità sensoriale la Corte non si è limitata a prescrivere la presenza di un esperto nel linguaggio dei sordomuti, quindi di un interprete in generale, ma ha fatto uno specifico ed esplicito riferimento alle persone che sono abituate a trattare con il disabile e che dunque devono essere preferite nella scelta.
L’orientamento della Corte si dimostra sensibile alle problematiche connesse alla disabilità sensoriale, particolarmente significative proprio in relazione all’approccio comunicativo.
In alcune situazioni, infatti, solo coloro che sono in stretto contatto con la persona sordomuta riescono a comprenderla ed a farsi capire senza rischio di malintesi.
Si può quindi dedurre che sia proprio questo aspetto a realizzare in pieno la garanzia della completa partecipazione al dibattimento del disabile sensoriale.

Imputato in carrozzella e barriere architettoniche nei palazzi della giustizia.

Sempre in relazione al principio contenuto nell’art 24 della Costituzione, la Corte di Cassazione ha avuto modo di stabilire con sentenza del 17 dicembre 2001, n. 3376, che l’assoluta impossibilità di comparire al processo, già ascrivibile alle ipotesi di caso fortuito e di forza maggiore , “…va riconosciuta anche nel caso in cui, trattandosi di imputato portatore di handicap, lo stesso abbia preventivamente manifestato la sua intenzione di partecipare al dibattimento e, al tempo stesso, la impossibilità di accedere ai locali di udienza a causa della presenza di barriere architettoniche…”
Nella vicenda processuale sottesa alla citata massima un imputato deambulante su carrozzella era stato dichiarato contumace data l’impossibilità di partecipare al processo a causa dell’ inagibilità dell’aula.
Il giudice di merito aveva ritenuto non giustificato l’impedimento costituito dalle barriere architettoniche che ostacolavano l’accesso ai locali di udienza, sull’assunto che l’impedimento avrebbe potuto essere eliminato con mezzi ausiliari.
La Cassazione, addivenendo a conclusioni diametralmente opposte rispetto a quelle delle corti di merito, ha richiamato in primo luogo la filosofia che anima complessivamente la legislazione dedicata all’handicap e soprattutto quella sottesa alla Legge 104/1992 ed alla disciplina sull’ eliminazione delle barriere architettoniche (in particolar modo D. P.R. 24 luglio 1996, n. 503).
Da tali fonti, espone la Corte, si evince un preciso obbligo delle istituzioni di attivarsi affinché la persona disabile possa esercitare dignitosamente i fondamentali diritti individuali e sociali.
In questa prospettiva gli “ …interventi di rimozione degli ostacoli debbono essere preventivi rispetto al manifestarsi dell’esigenza della persona disabile e i problemi di questa non possono essere oggi considerati come problemi individuali, ma debbono essere assunti dall’intera collettività” pertanto, conclude la Corte “…una volta che l’autorità giudiziaria abbia convocato il cittadino a comparire in giudizio, spetta in via generale all’amministrazione garantire che per le persone disabili siano assicurate modalità di accesso ai locali rispettose dell’eguaglianza e della pari dignità di tutti i cittadini…” .
Nel caso di specie è risultata illegittima la dichiarazione della contumacia dovendo essere collocata la descritta ipotesi nell’ambito dell’assoluta impossibilità di comparire.

Due esempi di come il diritto alla difesa possa essere negato, due esempi di come il diritto alla difesa possa e debba essere garantito.

Dr. Michele Costa
Informarecomunicando – Centro d’informazione per la disabilità.
UILDM Sez. Pisa

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