Il diritto allo studio degli alunni con disabilità può contare su solide basi giuridiche.
«Ogni individuo ha diritto all’istruzione. L’istruzione deve essere gratuita almeno per quanto riguarda le classi elementari e fondamentali. L’istruzione elementare deve essere obbligatoria […]», esordisce così il primo comma dell’articolo 26 dalla Dichiarazione universale dei diritti umani, proclamata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1948. Un principio fatto proprio da molte Costituzioni dei Paesi europei, tra cui quella italiana (art. 34 e 38), dalla Legge quadro sull’handicap (Legge 104/1992, art. 12), e dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità (art. 24), approvata nel 2006 (e recepita dall’Italia con la Legge 18/2009).
Pertanto non sorprende che il TAR (Tribunale Amministrativo Regionale) della Toscana, con la sentenza n. 54 del 13 gennaio 2014, abbia accolto il ricorso presentato da due genitori di un alunno minorenne con disabilità, Tommaso, contro la scuola frequentata dallo stesso, al fine di veder riconosciuto il diritto del proprio figlio ad avere un insegnante di sostegno per un numero di ore settimanali adeguato alla sua patologia. Ebbene, grazie alla sentenza, Tommaso potrà fruire «di un numero di ore di sostegno corrispondente all’intero orario di frequenza scolastica», vale a dire 40 ore in luogo delle 16 precedentemente assegnate dall’amministrazione scolastica. Tale sentenza si pone in linea con una collaudata giurisprudenza, supportata anche da pronunciamenti della Corte Costituzionale e del Consiglio di Stato, che portano a definire il diritto allo studio dell’alunno con disabilità come un «vero e proprio diritto soggettivo, incomprimibile in dipendenza di carenze organiche del personale scolastico, ovvero di esigenze di bilancio» (grassetti nostri, N.d.R.). La sentenza stabilisce inoltre il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale (quantificato in 600 euro per ogni mese di mancata applicazione delle disposizioni contenute nella sentenza stessa a partire dalla data di ricorso), e condanna l’amministrazione scolastica al pagamento delle spese processuali (3000 euro). Il provvedimento si applica all’anno scolastico in corso, ma non per gli anni a venire poiché, spiega la sentenza, la «necessità di procedere alla periodica verifica delle condizioni psicofisiche dell’interessato impedisce di proiettare nel futuro gli accertamenti relativi agli anni precedenti». Il rischio è che i genitori, per veder riconosciuto l’effettivo diritto allo studio di Tommaso, possano ritrovarsi a dover presentare ricorso tutti gli anni.
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